caldo salute degli italiani

Che impatto ha il cambiamento climatico sulla salute degli italiani? La risposta è contenuta nel “The Lancet Countdown: Tracking Progress on Health and Climate Change“. Si tratta di un progetto di ricerca internazionale che sta monitorando l’impatto sanitario del cambiamento climatico attraverso una rete di esperti; le rilevazioni si basano su un sistema di indicatori.

Rispetto al periodo pre-industriale, il mondo è più caldo di 1.2°C. L’attuale tendenza sembra portare ad un aumento di altri 2-3 gradi entro la fine del secolo. Le emissioni di gas serra sono le principali responsabili e le conseguenze si vedono sia sull’ambiente che sulla salute in generale della popolazione mondiale. Italiani inclusi.

Chi sono le persone più a rischio? Secondo la ricerca le categorie che subiscono di più l’impatto del cambiamento del clima sulla salute, sono quelle generalmente cosiderate più fragili anche negli altri ambiti. Si tratta infatti di anziani, neonati, donne in stato di gravidanza, migranti, lavoratori all’aperto e le persone socialmente più deprivate. In generale, comunque, chi non ha accesso a sistemi di refrigerazione. E’ il caldo eccessivo, il clima torrido, infatti, ad influenzare di più la salute degli italiani.

Climate change, come influenza la salute degli italiani?

Il cambiamento climatico (climate change) come impatta sulla salute degli italiani? Si legge in una parte del documento riassuntivo dello studio, “Politica dei co-benefici sanitari della mitigazione del cambiamento climatico” del Ministero della Salute, che “l’Italia in particolare è ad alto rischio a causa dell’alta proporzione di anziani, della collocazione geografica, dell’alta densità di popolazione e della conseguente elevata impronta ecologica, inclusa la vulnerabilità idro-geologica“.

Il clima torrido che si verifica soprattutto in estate pone a serio rischio le categorie più fragili ed in particolare gli anziani, soprattutto a causa delle ondate di calore. “Le ondate di calore e gli aumenti di temperatura (cui si potrebbero sommare in futuro crisi idriche e il razionamento dell’acqua) tendono a esacerbare condizioni patologiche pre-esistenti, che includono le malattie cardio-vascolari e respiratorie, il diabete, le malattie renali, la salute mentale e i disordini comportamentali“.

Bambini fino ad un anno di età e anziani sopra i 65 anni hanno una esposizione minima ad ondate di calore potenzialmente mortali, di due giorni. Il dato è della World Meteorological Organization.

Siccità e malattie infettive: occhio agli insetti

La siccità è collegata al rischio incendi e all’esposizione a sostanze inquinanti; oltre alla produttività dell’agricoltura ed alla disponibilità di acqua potabile sul territorio. Quindi anche un elemento legato alle condizioni igieniche.


Le alterazioni climatiche risultano anche in cambiamenti nella diffusione di malattie infettive trasmesse da artropodi, dal cibo o dall’acqua (13, 14). I casi di dengue, trasmessa dalle zanzare Aedes aegypti e Aedes albopictus, sono raddoppiati ogni decennio a partire dal 1990, e il cambiamento climatico è stato identificato come una delle principali cause di questo aumento“. In Veneto, nel 2020, l’Italia ha avuto il primo focolaio di dengue autoctona.

Zika and Chikungunya seguiranno probabilmente tendenze simili. Due focolai di Chikungunya sono stati identificati in Italia nel 2007 e nel 2017. Dal momento che con il crescente cambiamento climatico questi rischi sono destinati a crescere, l’Italia deve costruire un adatto sistema di adattamento, sul breve e lungo periodo“.

Salute degli italiani ed emissioni CO2: carni rosse al bando

Il 6% dell’energia prodotta in Italia purtroppo proviene ancora dal carbone; la quota maggiore invece dal gas. Per quanto riguarda i trasporti su strada, essi si avvalgono ancora soprattutto dei derivati del petrolio (gasolio e benzina): ben il 96%. L’Italia punta ad una maggiore diffusione della mobilità elettrica: nel 2050 dovranno essere 19 milioni i veicoli elettrici in circolazione (80% del totale) e 4 milioni le auto a idrogeno (17%).

Anche l’agricoltura e la produzione alimentare fanno la loro parte sull’emissione di gas serra (21-37%, a seconda delle stime). Le maggiori limitazioni derivano da un consumo ridotto di carne e prodotti del latte (-34% di emissioni, con il -27% di consumo nel 2018 rispetto al 2000). I prodotti derivanti dai bovini sono quelli che contribuiscono per il 74% delle emissioni (dell’82% di tutte le emissioni dovute all’agricoltura nel 2018). “In assenza di interventi volti a aumentare l’efficienza della produzione di carne per ridurre le emissioni di gas serra, l’unica strada è una drastica sostituzione di alimenti di origine animale con alimenti di origine vegetale. Questa misura risparmierebbe anche migliaia di vite all’anno in Italia legate a un
eccessivo consumo di carne rossa”
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Lancet Countdown ha stimato 17.000 decessi in Italia, nel 2018, attribuibili al consumo eccessivo di carne rossa (15% di tutte le morti dovute all’alimentazione). Lo ha fatto legando le informazioni sui consumi derivate dalla FAO a stime dei rischi relativi. Questo dato fa dell’Italia il secondo paese In Europa, dopo la Germania, per mortalità dovuta al consumo di carne rossa. Con la riduzione di consumo delle carni rosse, infatti, ci sarebbe anche il 4% in meno dei tumori al colon retto e delle morti da malattie cardiovascolari.

Come si può rimediare a questa situazione?

La conclusione è che “un’ambiziosa politica di mitigazione del cambiamento climatico offre l’opportunità di grandi dividendi sul versante della salute. Secondo Lancet Countdown mettere la salute al centro delle politiche climatiche porterebbe a risparmiare milioni di vite umane mei prossimi anni nel mondo“. La chiave è sostituire sempre di più le fonti fossili con altre rinnovabili. Oltre alla qualità dell’aria, è anche utile aumentare l’attività fisica (in un ambiente più pulito, è meglio) ed alimentarsi con una dieta composta da cibi con il minore contenuto di carbonio.

Purtroppo infatti l’Italia non ha fatto, negli anni, i passi da gigante che servivano per ridurre le emissioni come richiesto dagli accordi di Parigi; questo nonostante i progressi comunque fatti dal 1990 ad oggi con una produzione di tonnellate di CO2 equivalenti da 519 milioni a 418 milioni. La riduzione totale è del 19,5%, ben lontana dall’obiettivo del 55% entro il 2030, ai quali aggiungere altri 12Mt all’anno nei successivi 20 anni per raggiungere l’obiettivo Eu “net zero” (emissioni nette zero) del 2050.