Infezioni nosocomiali e risarcimento del danno

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In questa guida ci occupiamo di infezioni nosocomiali o ospedaliere. Scopriamo quali sono i principali fattori di rischio e come fare una prevenzione efficace. Questo tipo di infezioni sono infatti in aumento, probabilmente in seguito all’aumentare della resistenza agli antibiotici.

Capiamo come funziona il risarcimento del danno da infezione nosocomiale e qual è la giurisprudenza di riferimento.

L’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto si occupa di diritto alla salute e fornisce assistenza legale, sotto la guida dell’Avvocato Ezio Bonnani suo Presidente a tutte le vittime. In caso di infezione nosocomiale, errore medico, malasanità, o esposizione nociva sul luogo di lavoro potrete compilare il form che trovate al termine di questa pagina. Otterrete la consulenza legale gratuita per fare valere i vostri diritti.

In caso di infezione nosocomiale le vittime hanno diritto al risarcimento integrale dei danni subiti.

Infezioni nosocomiali: cosa sono e definizione dell’OMS

Ma andiamo con ordine: cosa sono le infezioni nosocomiali? Le infezioni correlate all’assistenza (ICA), precedentemente chiamate infezioni ospedaliere o infezioni nosocomiali, sono malattie infettive legate all’assistenza sanitaria. I pazienti, originariamente sani al momento del ricovero per cure mediche, contraggono la patologia all’interno della struttura ospedaliera o della RSA.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) evidenzia le caratteristiche principali delle ICA:

  1. Queste infezioni possono verificarsi anche in contesti non ospedalieri, come residenze sanitarie assistite (RSA), ambulatori specialistici, studi medici privati, studi dentistici, comunità terapeutiche psichiatriche, ecc.
  2. L’infezione si trasmette principalmente attraverso il contatto tra la “fonte-veicolo-ospite”. Le mani degli operatori sanitari, coinvolte in tutte le pratiche terapeutiche e assistenziali, sono il veicolo più comune. Altre modalità di contagio comprendono l’ambiente (presenza di agenti patogeni nell’aria e sulle superfici), la ventilazione artificiale, la dialisi e le procedure mediche di vario tipo.

Le infezioni ospedaliere costituiscono una delle più comuni complicanze delle prestazioni sanitarie. La letteratura scientifica ha evidenziato che circa il 60% dei casi potrebbe essere evitato con una stretta adesione alle indicazioni delle linee guida di prevenzione.

Come avvengono le infezioni da assistenza sanitaria?

Le infezioni ospedaliere di solito derivano da microrganismi opportunistici presenti nell’ambiente. Questi microrganismi, che normalmente non causano infezioni, possono invece provocarle in pazienti immunodepressi, sia durante il ricovero che dopo la dimissione.

Altre cause possono essere agenti patogeni che, in ambienti con un uso frequente di vari tipi di antibiotici, sviluppano maggiore virulenza e resistenza ai trattamenti terapeutici.

Malattie più comuni causate da infezione nosocomiale

Alcune tipiche malattie da contagio ospedaliero:

  • Infezioni urinarie: batterio tipico acquisito in ospedale Klebsiella multi resistente;
  • Infezioni del sito chirurgico: l’infezione è solitamente acquisita durante l’intervento stesso;
  • Polmonite nosocomiale;
  • Batteriemia nosocomiale; grado di mortalità elevato (più del 50% per alcuni microrganismi) causate comunemente da Staphylococcus coagulasi negativi multiresistenti  e Candida spp.
  • Cute e tessuti molli: discontinuità dolorose (ulcere, ustioni e piaghe da decubito) favoriscono la colonizzazione batterica e possono essere il punto di formazione di infezioni sistemiche;
  • La gastroenterite è la più frequente causa di infezione nosocomiale nei bambini con il rotavirus come patogeno principale e il Clostridium negli adulti nei paesi industrializzati;
  • Sinusiti ed altre infezioni enteriche, infezioni dell’occhio e della congiuntiva;
  • Endometriti ed altre infezioni degli organi riproduttivi successive al parto;
  • Virus dell’epatite B e C (attraverso trasfusione, dialisi, iniezione, endoscopia), virus respiratorio sinciziale (RSV), enterovirus (trasmessi per contatto mano bocca e per via oro-fecale); citomegalovirus, HIV, Ebola, virus influenzali e herpes simplex virus e varicellazoster.

Approfondisci su “Risk factors for health care–associated infections: From better knowledge to better prevention”, pubblicato su American Journal of Infection Control, Volume 45, Issue 10, 2017, Pages e103-e107

Strategie e prevenzione per contrastare le infezioni nosocomiali

Più della metà delle ICA sono prevenibili, soprattutto quelle associate a determinati comportamenti, attraverso la pianificazione di programmi di prevenzione e controllo della trasmissione di infezioni.

Occorre però pianificare e attuare programmi di controllo a diversi livelli (nazionale, regionale, locale), per garantire la messa in opera di quelle misure che si sono dimostrate efficaci nel ridurre al minimo il rischio di complicanze infettive.

Sebbene le ICA siano comunemente attribuibili alle variabili del paziente e alla qualità di assistenza fornita, è stato dimostrato che un assetto organizzativo dedicato contribuisce a prevenirle. A tal fine è stato istituito il Comitato per il contrasto delle infezioni ospedaliere (CIO).

Una strategia per combattere le infezioni ospedaliere è ridurre o eliminare i microorganismi sulle superfici di oggetti frequentemente toccati, come maniglie, rubinetti e ringhiere. Queste superfici possono ospitare batteri patogeni che possono poi trasmettersi ai pazienti attraverso il contatto con gli oggetti contaminati. Si stima che l’80% delle infezioni ospedaliere si trasmetta in questo modo.

Approfondisci su: “The preventable proportion of healthcare-associated infections 2005-2016: Systematic review and meta-analysis”, pubblicato su Infect Control Hosp Epidemiol. 2018 Nov;39(11):1277-1295

Studi, ricerche e sperimentazione per contrastare le infezioni nosocomiali

Per contrastare l’aumento delle infezioni ospedaliere e l’inefficacia degli antibiotici contro microrganismi multiresistenti, in Svezia è stato sviluppato un nuovo tipo di flusso laminare mobile nelle sale operatorie.

Questo flusso investe il sito chirurgico e il tavolo operatorio con un flusso d’aria “ultrapulita”, riducendo la carica batterica fino al 95% attraverso filtri Hepa, senza interferire con il sistema di ventilazione esistente. In una clinica universitaria di Uppsala, il tasso di infezione post-operatoria è sceso drasticamente da 5,5% a meno dello 0,5%.

Attualmente, si stanno conducendo sperimentazioni negli ospedali per valutare l’efficacia del rame e delle sue leghe, che possiedono attività antibatterica intrinseca. I risultati finora ottenuti sono promettenti, con una diminuzione significativa dei batteri su oggetti in rame in vari ospedali nel mondo.

Risarcimento del danno da infezione nosocomiale

Se l’infezione ospedaliera è derivata da imperizia della struttura ospedaliera o dei medici il paziente ha diritto al risarcimento dei danni subiti.

Nel tempo la giurisprudenza ha ritenuto che se il paziente dimostra il sopraggiungere dei sintomi da infezione batterica e il danno, è la struttura ospedaliera a dover dimostrare di aver adottato tutte le dovute precauzioni per evitare l’evento dannoso.

Sentenza della Corte Suprema n.6386 del 2023:

La Cassazione con la sentenza n.6386 del 2023 ha chiarito ed elencato per la prima volta le attività di prevenzione del rischio infettivo. Le strutture dovranno dar prova di averle attuate, sulla base della “specificità dell’infezione” per la quale sarà promossa l’azione giudiziaria.

La sentenza della Corte Suprema, III Sezione Civile, n. 6386 del 3 marzo 2023, riguarda una richiesta di risarcimento danni avanzata dai parenti di una signora deceduta a causa di un’infezione contratta in ospedale, causata da uno shock settico da stafilococco.

Nel corso dei due gradi di giudizio precedenti, la richiesta di risarcimento era stata respinta per mancanza di nesso causale. Il tribunale di primo grado aveva riconosciuto la negligenza dei medici ma non aveva stabilito un collegamento causale tra tale comportamento e la morte della paziente. Gli appellanti chiedevano il riconoscimento del danno non patrimoniale derivante dalla morte della loro congiunta e il conseguente risarcimento da parte della struttura ospedaliera.

La Corte d’Appello aveva confermato la decisione di primo grado, sostenendo le valutazioni dell’esperto tecnico, il quale riteneva che la prescrizione antibiotica, seppur non mirata, non avrebbe potuto evitare l’infezione e il decesso della paziente.

Criterio di probabilità logica per il nesso causale

Tuttavia, la Corte Suprema ha ritenuto che la sentenza fosse difettosa nella motivazione, in quanto aveva applicato erroneamente il criterio di certezza nel rapporto causa-effetto, anziché adottare un modello basato sulla probabilità logica nel ricostruire il nesso causale. Inoltre, la Corte ha evidenziato un errore di diritto commesso dai giudici di merito nel limitare il giudizio controfattuale al solo comportamento dei sanitari, senza considerare la contrazione dell’infezione in ambito nosocomiale.

Di conseguenza, la Corte ha annullato la sentenza impugnata e ha rinviato alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio. In questa fase, il giudice dovrà valutare se l’infezione contratta in ospedale e la sua relativa causa di morte possano essere attribuite alla struttura sanitaria per carenze autonome rispetto alla responsabilità dei sanitari.

Le misure preventive tramite una check list

La Corte ha inoltre specificato che il rapporto contrattuale tra paziente e struttura sanitaria non protegge di norma i terzi, e la pretesa risarcitoria avanzata dai parenti del paziente per danni derivanti dall’inadempimento dell’obbligazione sanitaria rientra nell’ambito della responsabilità extracontrattuale.

Per quanto riguarda il nesso di causalità, la Corte ha introdotto una inversione dell’onere probatorio, richiedendo alla struttura di dimostrare l’adozione di misure preventive tramite una check list.

Questa check list dovrebbe includere protocolli relativi a disinfezione, raccolta della biancheria, smaltimento dei rifiuti e altre misure atte ad evitare la contrazione dell’infezione.

In sintesi, la decisione della Corte di Cassazione si allinea con l’evoluzione del processo iniziato nel 2001 con il decreto legislativo 231/2001, che ha introdotto la responsabilità amministrativa degli enti, promuovendo una sorta di colpa nell’organizzazione con la predisposizione di adeguate misure preventive per evitare rischi.

Onere della prova in caso di infezioni nosocomiali

Spetterà quindi alla struttura provare:

1) di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive;

2) di dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico.”. Il criterio è prima di tutto temporale (“il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall’ospedale”); e poi quello
topografico (“insorgenza dell’infezione nel sito chirurgico interessato dall’intervento in assenza di
patologie preesistenti e di cause sopravvenute eziologicamente rilevanti, da valutarsi secondo il
criterio della cd. “probabilità prevalente”); ed ancora il criterio clinico ovvero quali tra le
necessarie misure di prevenzione era necessario adottare.

Checklist di ciò che spetta alla struttura dimostrare in caso di infezioni nosocomiali

L’onere della prova riguarda:

  1. L’indicazione dei protocolli relativi alla disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione di ambienti e
    materiali;
  2. L’indicazione delle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria;
  3. L’indicazione delle forme di smaltimento dei rifiuti solidi e dei liquami;
  4. Le caratteristiche della mensa e degli strumenti di distribuzione di cibi e bevande;
  5. Le modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti;
  6. La qualità dell’aria e degli impianti di condizionamento;
  7. L’attivazione di un sistema di sorveglianza e di notifica;
  8. L’indicazione dei criteri di controllo e di limitazione dell’accesso ai visitatori;
  9. Le procedure di controllo degli infortuni e della malattie del personale e le profilassi vaccinali;
  10. L’indicazione del rapporto numerico tra personale e degenti;
  11. La sorveglianza basata sui dati microbiologici di laboratorio;
  12. La redazione di un report da parte delle direzioni dei reparti a comunicare alle direzioni sanitarie al fine di monitorare i germi patogeni-sentinella;
  13. L’indicazione dell’orario dell’effettiva esecuzione delle attività di prevenzione del rischio.

Oneri soggettivi del dirigente apicale: quali sono?

Per quanto riguarda gli oneri soggettivi, il dirigente apicale è tenuto a specificare le regole di precauzione da seguire e ha il potere-dovere di supervisione e verifica, simile al CIO.

Il direttore sanitario deve mettere in atto tali regole, organizzare gli aspetti igienici e tecnico-sanitari, e monitorare le indicazioni fornite, compresi i protocolli di sterilizzazione e sanificazione ambientale, la gestione delle cartelle cliniche e la vigilanza sui consensi informati.

Il dirigente di struttura complessa è responsabile dell’esecuzione finale dei protocolli e delle linee guida, collaborando con specialisti quali microbiologi, infettivologi, epidemiologi e igienisti, e rispondendo per la mancata raccolta di informazioni precise sulle iniziative di altri medici o per la mancata segnalazione di eventuali carenze ai responsabili.

Cosa cambia con la sentenza della Corte Suprema?

Cosa cambia quindi con la sentenza della Corte Suprema? La recente sentenza della Corte Suprema ha introdotto quindi significative innovazioni di rilievo per i professionisti del settore della responsabilità medica, specialmente nei casi di infezione nosocomiale.

Fornisce importanti regole nelle procedure giudiziarie risarcitorie. Ricapitolando:

  • La richiesta di risarcimento avanzata dai parenti per danni derivati dall’inadempimento dell’obbligazione sanitaria è considerata responsabilità extracontrattuale.
  • La prova del nesso causale deve essere presentata in termini probabilistici e non richiede una certezza assoluta.
  • La responsabilità della struttura è valutata attraverso criteri temporali, topografici e clinici, considerando il periodo post-dimissione, la localizzazione dell’infezione e le misure di prevenzione adottate.
  • In caso di infezione contratta in ospedale, la struttura dovrà dimostrare di aver adottato adeguate misure preventive.
  • La sentenza fornisce dettagli sugli obblighi delle strutture sanitarie e individua chiaramente le figure apicali responsabili.

Oneri soggettivi e compiti del medico legale: quali sono?

Per quanto riguarda i compiti del medico legale, la sua indagine sulla causalità è sia generale che specifica. Escluderà, se del caso, la sufficienza delle indicazioni generali sulla prevenzione del rischio clinico e, evitando l’applicazione meccanica del criterio post hoc – propter hoc.

Esaminerà la storia clinica del paziente, la natura dei protocolli, le caratteristiche del microrganismo e la mappatura della flora microbica nei reparti.

Il CTU dovrebbe essere consultato per accertare la relazione tra l’infezione e la degenza ospedaliera in situazioni di mancanza o insufficienza di direttive generali di prevenzione, mancato rispetto di direttive adeguate, omessa informazione sulla possibile inadeguatezza della struttura e ricovero non giustificato da esigenze diagnostiche o terapeutiche associate a un trattamento inappropriato.

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