In un nuovo studio che getta luce sulla complessità dell’evoluzione degli occhi nei mammiferi, si è scoperto che la struttura della retina in creature come topi ed esseri umani ha subito cambiamenti minimi sin dall’ultimo antenato comune di tutti i vertebrati.

Ancora più sorprendente è il fatto che questa similitudine risale almeno a 400 milioni di anni fa

La retina: un sofisticato e “arcaico” computer

Retina: il dottor KarthikShekhar spiega lo studio sulla sua evoluzione

La retina, membrana del bulbo oculare interno, è una sorta di “computer” degli occhi, un intricato insieme di cellule che collaborano per captare e trasformare le informazioni visive prima di inviarle al cervello.

Nonostante la sua sofisticata tecnologia, nel corso dell’evoluzione non avrebbe subito grandi cambiamenti. Cosa che suggerisce una stabilità notevole.

Ma cerchiamo di approfondire l’affascinante enigma, al centro dello studio dei ricercatori dell’Università della California, Berkley.

Dai pesci ai topi, fino agli esseri umani, ciascuna specie ha adattato la vista alle proprie esigenze.

«La nostra retina potrebbe essersi evoluta come una squadra di calcio che assegna ruoli ben precisi ai giocatori; alcuni fanno sofisticati calcoli visivi, mentre altri trasmettono solo un’immagine più grezza al cervello per permetterci di fare cose più complesse». Questa la spiegazione del dottor Karthik Shekhar, capo del team di ricerca. 

Lo studio, pubblicato su Nature, ci porta tuttavia a una sorpresa evolutiva.

Un mondo di cellule, un’unica evoluzione

Glaucoma e altre patologie oculari potrebbero beneficiare del nuovo studio

Le analisi genetiche di diciassette specie, compreso il nostro antenato Homo sapiens, hanno rivelato connessioni cellulari sorprendentemente simili, sottolineando una lunga storia evolutiva con un unico antenato comune.

Insomma, la “cellula gangliare retinica nana”, responsabile della nostra capacità di cogliere i minimi dettagli visivi, non è un’esclusiva dei primati.

«Quello che stiamo scoprendo è che, qualcosa che pensavamo fosse un ‘unicum’ primatesco, non è affatto così unico. Si può paragonare a una versione rinnovata di un vecchio, classico cellulare: qualcosa di antico e ristrutturato», afferma Karthik Shekhar.

Al netto di questa notizia, comprendere i collegamenti evolutivi tra le cellule retiniche nei vertebrati potrebbe rivelarsi fondamentale per studiare e trattare condizioni oculari come la degenerazione maculare, la retinite pigmentosa oil glaucoma (una delle principali cause di cecità nel mondo).

«Il glaucoma potrebbe essere paragonato a un dramma teatrale, in cui le ‘cellule nane’ sono le protagoniste. Nei topi, queste si comportano come degli attori mediocri, mentre negli umani fanno una performance da Oscar. Comprendere il ruolo dei topi potrebbe aiutarci a tradurre meglio le loro performance in malattie oculari umane» conclude Shekhar.

In effetti, i topi impiegati negli esperimenti di laboratori, avendo delle retini simili alle nostre, potrebbero rappresentare un modello di studio assai efficace.

Piccola curiosità: i topi hanno almeno centotrenta tipi di cellule retiniche, mentre noi umani solamente settanta.

Fonte

Nature.com