epatite c

Nel Lazio ci sono 53.300 pazienti con epatite C in cura. Lo rende noto il progetto “Hand”, che nei giorni scorsi ha fatto tappa a Roma per la quinta edizione. Il progetto è promosso dal provider Letscom E3, con il contributo incondizionato di AbbVie.

Hand, che è l’acronimo di Hepatitis in Addiction Network Delivery, ha lo scopo di anticipare la fase di screening dell’epatite C (HCV) nella popolazione Pwid (People Who Inject Drugs) e in tutta l’utenza a rischio afferente ai Ser.D. Per la sua rilevanza a livello nazionale, dal 2019 gode del patrocinio delle quattro società scientifiche SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD.

La tappa romana ha visto la partecipazione di oltre 60 tra chirurghi, infermieri, psicologi, assistenti sanitari e tecnici della riabilitazione psichiatrica, farmacisti, biologi, educatori, che hanno preso parte al corso di formazione ECM dal titolo “Applicazione del programma di screening nazionale per l’eliminazione dell’Hcv nei Serd e nelle carceri della Regione Lazio”. 

Epatite C, sempre più necessario lo screening

Durante i lavori del convegno sono emersi alcuni dati sui quali le categorie hanno imposto una riflessione. Nel Lazio sono presenti circa 53.300 pazienti con infezione cronica da Hcv attiva, che ancora non sono stati trattati con terapia antivirale. Ce ne sono poi circa 35.800 con infezione cronica ancora da diagnosticare, potenzialmente asintomatici; e 17.500 in uno stadio di fibrosi avanzata, sintomatici, ma con patologia non ancora eradicata. 

Diventa dunque indispensabile, secondo gli esperti, favorire un’anticipazione diagnostica attraverso un percorso di screening organizzato e una tempestiva presa in carico delle persone positive per l’avvio di un adeguato trattamento”. 

Ai fini dello screening Hcv per la Regione Lazio, su proposta del ministero della Salute sono stati stanziati 8.148.378 euro. Tuttavia ci sono almeno due criticità: la prima, la carenza di personale; la seconda, la burocrazia. “Le lungaggini burocratiche hanno fatto sì che l’acquisizione del materiale necessario per attuare correttamente questo screening sia avvenuta un po’ in ritardo. In questo periodo stiamo però recuperando” – ha detto il dott. Claudio Leonardi, Direttore del Dipartimento Tutela delle Fragilità – Asl Roma 2.

La strategia migliore: una procedura semplice

Il Direttore Uoc Malattie Infettive Epatologia, Dipartimento Poit, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, il dott. Gianpiero D’Offizi, spiega che “la strategia migliore è la semplificazione. Ossia identificare il soggetto Hcv positivo per poi avviarlo in un percorso di presa in carico presso un centro clinico della Regione e iniziare quanto prima un trattamento contro l’epatite C”. 

“Questo è molto importante – spiega – perché trattare subito un paziente Hcv positivo significa innanzitutto poter eliminare il ‘burden’ virale, ovvero la carica di virus presente, e quindi eliminare anche la possibilità di contagio di altre persone, di altre fasce di popolazione. Ed allo stesso tempo significa anche prevenire l’evoluzione e il peggioramento della malattia da Hcv”.

I pazienti ignari dell’infezione, infatti, non si controllano e non si curano: rischiano dunque di progredire nel tempo, arrivando alla cirrosi o addirittura alla necessità di trapianto di fegato.