discriminazioni

Per la Giornata internazionale contro le discriminazioni, il Movimento Giovani per Save the Children, rilancia la campagna per dire basta ai pregiudizi e agli stereotipi. Si chiama #UPprezzami e consiste nella pubblicazione di un nuovo video per far riflettere sul peso che le idee sbagliate possono avere sulla vita quotidiana. Il Zero Discrimination Day ricorre il primo marzo di ogni anno.

Il video è ambientato in una scuola, presso la quale arriva un nuovo ragazzo. Banalità vorrebbe che sia lui quello discriminato; ma i ragazzi vanno oltre anche questo e ribaltano il punto di vista: e se fosse lui a discriminare i nuovi compagni?

Il peso delle apparenze nella vita quotidiana

La domanda che i ragazzi hanno voluto rivolgere ai propri coetanei è: “Sei sicuro che la scelta migliore sia affidarsi alle apparenze?”.

La discriminazione – si legge in una nota – nega la soggettività di un individuo, la riduce all’appartenenza ad un gruppo identificabile; ancor prima di esser riconosciuti come soggetti portatori di caratteristiche individuali, bambine, bambini e adolescenti vengono stigmatizzati come membri di un gruppo, definito in base a categorie stereotipizzanti quali età, nazionalità, gruppi con la stessa origine etnica, disabilità, orientamento sessuale, etc. Nello stesso modo, lo stereotipo dell’aspetto esteriore riguarda tutto ciò che a primo impatto si classifica, come ad esempio colore della pelle, genere di appartenenza, caratteristiche fisiche, abbigliamento e porta a giudicare nella maggior parte dei casi in modo superficiale e impreciso una persona al primo impatto”.

Sono oltre 500 le ragazze e i ragazzi, tra i 14 e i 25 anni, che sono impegnati nella promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Il ruolo della scuola nel frenare le discriminazioni

Save the Children ha voluto sottolineare l’importanza dell’iniziativa, partita dai ragazzi, e l’ha diffusa attrvaerso i propri canali. Perché sono proprio i ragazzi “per primi a vivere queste situazioni che spesso possono avere dei risvolti anche drammatici“.

“Il coinvolgimento dei “pari” è fondamentale per isolare chi compie atti discriminatori, per non minimizzare qualsiasi segnale di chiusura verso le diversità e per diffondere una cultura di rispetto dei diritti di tutti, a scuola e negli altri luoghi di incontro. La scuola in particolare può e deve avere un ruolo importante nella promozione di una cultura dell’accoglienza; educando al rispetto della diversità e all’affettività, promuovendo l’uso di un linguaggio positivo e non discriminatorio, favorendo occasioni di incontro, conoscenza e contaminazione con la diversità”.

Discriminazioni, l’osservatorio della polizia criminale

In Italia esiste un apposito servizio del Ministero dell’Interno contro le discriminazioni. Si tratta dell’OSCAD – Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, ed è curato dalla Polizia criminale. Il suo scopo è quello di dare supporto alle vittime dei reati a sfondo discriminatorio – hate crime o crimini d’odio; nonché di agevolare la presentazione di denunce.

Si tratta di un fenomeno sul quale è necessario non abbassare la guardia, perché tra conseguenze dirette e indirette, si può arrivare persino a tragedie. Per rendersi conto della dimensione del fenomeno, soltanto online, parliamo di 2.455 casi di diffamazione trattati, più 203 di stalking, 806 di minacce, 265 di revenge porn e 157 di istigazione. A rappresentare i dati sul Cyber crime, il direttore primo dirigente del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni della Polizia di Stato, Ivano Gabrielli. L’occasione è stata quella del convegno “L’odio in rete, un fenomeno virtuale con effetti tragicamente reali” del 13 ottobre scorso all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; l’evento si è tenuto nell’ambito del progetto UE “REASON – REAct in the Struggle against ONline hate speech“.

Solo chi è stato vittima di un’aggressione verbale può sapere quanto possano far male parole di umiliazione, insulto, denigrazione con conseguenze talvolta drammatiche. Quello che cerchiamo di trasmettere ai nostri operatori nelle attività di formazione è che la capacità di ripresa e resilienza della vittima dipende anche dalla qualità dell’approccio dell’operatore di polizia il cui ruolo è decisivo” – ha spiegato la dott.ssa Elisabetta Mancini, dirigente responsabile dell’OSCAD, nel suo intervento.