Una delle prime patologie metaboliche che è riconosciuta come causa di disabilità intellettiva è la fenilchetonuria. Si tratta di una condizione ereditaria legata ad un’alterazione del metabolismo di un aminoacido, la fenilalanina.
La fenilchetonuria (PKU) è una malattia ereditaria rara. È causata dall’accumulo dell’aminoacido fenilalanina nel sangue e nel liquido cefalorachidiano, cioè il liquido che circonda il cervello e il midollo spinale. La complicanza più grave è un serio ritardo mentale.
La malattia è a trasmissione autosomica recessiva, cioè entrambi i genitori hanno un’alterazione in uno dei due geni per la fenilalanina idrossilasi. E non sono affetti dalla malattia. La presenza di entrambi i geni alterati in un figlio causa la malattia.
«È una condizione ereditaria che si manifesta con un’incidenza di 1 a 10.000-15.000 nati», spiega Simona Sestito, pediatra, ricercatrice dell’Università Magna Graecia di Catanzaro. Esistono, tuttavia, delle aree geografiche nelle quali l’incidenza potrebbe essere variabile rispetto a questa stima.
Dieta quotidiana a contenuto controllato di fenilalanina
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La fenilchetonuria viene diagnosticata con i programmi di screening neonatale attraverso la determinazione dei livelli ematici di fenilalanina.
«Qualora questo valore superi determinati range – continua Sestito – il paziente necessita di un trattamento dietetico. La dietoterapia si basa, infatti, sull’impiego di una dieta quotidiana a contenuto controllato di fenilalanina. È sicuramente un approccio terapeutico fondamentale per questa condizione. Consente di controllare l’apporto quotidiano di fenilalanina introdotto e quindi di andare a ristabilire il valore di fenilalanina plasmatico entro il range adeguato. Questa condizione, se non trattata, può comportare una serie di conseguenze, soprattutto per ciò che riguarda lo sviluppo cognitivo del bambino. Pertanto, l’obiettivo terapeutico è quello che la dietoterapia in primo luogo vada a controllare i valori ematici di questo aminoacido».
Fenilchetonuria, nuovi approcci terapeutici farmacologici
Recentemente è stata introdotta anche la possibilità di introdurre nel panorama terapeutico di questa condizione anche degli approcci terapeutici farmacologici.
«Primo fra tutti – prosegue l’esperta – quello della terapia di sostituzione con BH4. Questo è un elemento terapeutico fondamentale per quella minoranza di casi in cui il difetto primario è legato al deficit di BH4. Ciò rappresenta un co-fattore importante per l’attività della fenilalanina idrossilasi. Liberalizzare o migliorare la tolleranza dietetica significa chiaramente migliorare anche la qualità di vita di questi pazienti. Il vantaggio che l’introduzione di BH4 ha comportato nella gestione di questa malattia è stato sicuramente notevole negli ultimi anni. Ed esistono oggi diverse formulazioni attraverso cui BH4 può essere somministrato: sia attraverso delle compresse, che attraverso delle formulazioni in polvere».
La terapia di sostituzione enzimatica, una valida opzione
«La terapia farmacologica, inoltre, si avvale anche, grazie alla sua recente introduzione, di una terapia di sostituzione enzimatica», evidenzia la ricercatrice.
«Questa può rappresentare una valida opzione terapeutica in alcune categorie di pazienti. È necessario, infatti, che i pazienti che ricevono questo trattamento abbiano un’età che sia uguale o superiore ai 16 anni. E che non abbiano un buon controllo metabolico con le opzioni terapeutiche attualmente disponibili. Le esperienze anche nell’impiego delle terapie di sostituzione enzimatica stanno aumentando. Sicuramente, tutte insieme queste opzioni farmacologiche, oltre all’importantissimo strumento rappresentato dalla dietoterapia, rappresentano strategie terapeutiche importanti. Esse possono consentire ai pazienti con fenilchetonuria di poter avere una buona qualità di vita e garantire uno sviluppo neuro-cognitivo ottimale», conclude Sestito.