Un team di ricerca dello Scripps Research Institute in California ha sviluppato un metodo per migliorare l’efficacia delle terapie con inibitori del checkpoint, utilizzate per il trattamento di vari tumori, incluso il linfoma di Hodgkin. Questo nuovo approccio prevede l’uso di ruxolitinib, un farmaco immunosoppressore già approvato, in sinergia con gli inibitori del checkpoint per potenziare la risposta delle cellule T. I risultati sono stati supportati da un trial clinico di Fase I e da modelli preclinici
Esaurimento delle cellule T e la necessità di nuove terapie
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Terapie. Le cellule T sono fondamentali nel sistema immunitario per il loro ruolo nella difesa dell’organismo contro infezioni e malattie, compreso il cancro. Sono prodotte nel midollo osseo e maturano nel timo, dove acquisiscono specificità per riconoscere e attaccare agenti patogeni o cellule anormali.
Tuttavia, quando sono esposte cronicamente e continuamente alle cellule tumorali, possono esaurirsi. Questo fenomeno, noto appunto come esaurimento delle cellule T, rappresenta una sfida significativa nell’immunoterapia. Porta infatti alla perdita della loro capacità di proliferare e funzionare efficacemente.
«C’è molta attività nello sviluppo della prossima generazione di immunoterapie e stiamo guardando oltre le terapie che colpiscono direttamente queste cellule». A spiegarlo, il dottor John Teijaro, esperto di immunologia dello Scripps Research Institute. In questo contesto emergono nuovi trattamenti che mirano non solo a rinvigorire le cellule T esauste, ma anche a potenziare l’intero sistema immunitario per migliorare la risposta contro il cancro.
Questi nuovi approcci includono l’uso di inibitori JAK, come ruxolitinib, che modulano il percorso JAK/STAT e possono ridurre l’infiammazione cronica che porta all’esaurimento delle cellule T. L’obiettivo è quello di creare una microambiente favorevole all’attivazione e alla funzione delle cellule T, migliorando così l’efficacia delle terapie immunologiche contro il cancro.
Il ruolo degli inibitori JAK e legame con il Linfoma di Hodgkin
Gli enzimi JAK svolgono un ruolo fondamentale nel percorso JAK/STAT, nevralgico per lo sviluppo delle cellule immunitarie. Questo, regola la produzione di citochine e l’attivazione delle cellule T, componenti essenziali della risposta immunitaria. Gli inibitori JAK, come ruxolitinib, agiscono modulando questo percorso. Limitano i segnali infiammatori e migliorano le risposte del sistema immunitario. «Ruxolitinib è stato identificato come un potenziatore dell’immunoterapia utilizzando la libreria di farmaci ReFRAME di Scripps Research». «Questo approccio ha aperto nuove vie per migliorare la risposta immunitaria in vari contesti clinici, compreso il trattamento del cancro», incluso il temibile linfoma di Hodgkin.
Linfoma di Hodgkin: caratteristiche e attuali approcci terapeutici
Il linfoma di Hodgkin è una forma di cancro del sistema linfatico caratterizzata dalla presenza di cellule anormali, grandi e multinucleate (contengono più nuclei rispetto alle normali cellule), note come Reed-Sternberg. Chiamate così in onore di due medici, Carl Sternberg e Dorothy Reed, che per primi le descrissero nel 1902, sono fondamentali per la diagnosi di linfoma di Hodgkin. Sono difatti un segno distintivo della malattia. Quanto a questo tipo di tumore, colpisce circa tre persone su 100mila ogni anno. Si manifesta con sintomi come il gonfiore dei linfonodi, febbre, sudorazioni notturne e perdita di peso. Il trattamento tradizionale include chemioterapia, radioterapia e, più recentemente, immunoterapia. Quest’ultima è mirata a potenziare il sistema immunitario contro le cellule tumorali. Sfrutta in pratica strategie come gli inibitori del checkpoint per migliorare la risposta immunitaria contro il cancro. Oggi però, le nuove opzioni potrebbero dare risultati migliori.
Nuove terapie nel trattamento del Linfoma di Hodgkin
L’introduzione della combinazione di ruxolitinib e nivolumab ha rappresentato un’innovazione significativa nella terapia del linfoma di Hodgkin. «L’87% dei pazienti trattati era ancora vivo dopo due anni, con il 46% che non mostrava segni di progressione del cancro». A sottolinearlo, uno degli autori dello studio. Questi risultati indicano che questa terapia può non solo rallentare la malattia ma addirittura invertire il suo corso. «Abbiamo visto casi in cui i pazienti hanno beneficiato a lungo termine dalla combinazione».
Prospettive future e approfondimenti della ricerca
I ricercatori stanno ora esplorando ulteriormente l’efficacia di altri inibitori JAK e stanno conducendo studi per testare questa combinazione in altri tipi di tumori. «È raro avere dati così solidi dai primi studi clinici». Così commenta Teijaro. «Questi risultati sono particolarmente entusiasmanti. Mostrano un beneficio tangibile per i pazienti con linfoma di Hodgkin che non rispondono alle terapie standard». Questo approccio potrebbe aprire nuove prospettive per il trattamento di tumori resistenti all’immunoterapia, offrendo nuove speranze nella lotta contro il cancro.
Fonti
Scripps Research Institute, Science (2024).