La Sindrome di Phelan-McDermid (PMS) è una rara condizione genetica per la quale ad oggi non esistono cure. Rientra tra i disturbi del neurosviluppo ed è caratterizzata da disabilità intellettiva, tratti autistici e sintomi neuropsichiatrici.

Una ricerca coordinata dall’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Vedano al Lambro (Monza Brianza) ha approfondito alcuni aspetti.

Pubblicato su Molecular Psychiatry, lo studio è stato effettuato in collaborazione con i ricercatori dell’Università di Ulm (Germania) e della Vanderbilt University di Nashville (USA).

Comprendere i meccanismi biologici che provocano la malattia

Nella maggior parte dei casi, la patologia è legata alla perdita di una minuscola regione (denominata q13) del braccio lungo di uno dei due cromosomi 22. Nella porzione genomica che viene persa, rientra il gene SHANK che contiene le informazioni per la produzione dell’omonima proteina shank3. Essa svolge la sua azione in vari organi, tra cui il cervello. Proprio dalla sua assenza, dunque, deriverebbero le disfunzioni sinaptiche che caratterizzano coloro che sono affetti dalla Sindrome di Phelan-McDermid.

Il team di ricerca ha indagato anche i meccanismi attraverso cui il gene SHANK3 può regolare le funzioni neuronali. Gli studiosi hanno allora messo a confronto modelli animali con modelli neuronali ottenuti da cellule staminali pluripotenti umane derivate da pazienti affetti da PMS. Hanno così osservato che l’assenza di SHANK3 influisce sull’espressione della proteina Rpl3, essenziale per il funzionamento dei ribosomi, organelli responsabili della sintesi proteica.

L’attivazione del recettore mGlu5

La riduzione dei livelli di espressione della proteina è stata, pertanto, associata a una minore sintesi proteica nelle zone cerebrali della corteccia e dello striato.

Inoltre, il team ha dimostrato che sia l’espressione della proteina Rpl3 sia la sintesi proteica sono legate all’attivazione del recettore mGlu5. Si tratta di una sorta di “interruttore biologico” presente sulla superficie delle cellule nervose. È in grado di avviare reazioni all’interno della cellula nel momento in cui riceve un determinato segnale chimico dall’esterno.

Grazie a questa scoperta, quindi, gli esperti hanno avuto la possibilità di avviare un trattamento con una molecola capace di riattivare i segnali interni collegati a questo recettore. Ciò ha permesso di ristabilire la corretta produzione della proteina Rpl3 e di riprendere una normale sintesi proteica in due zone importanti del cervello. Ovvero la corteccia e lo striato, nei modelli animali utilizzati per lo studio.

Sindrome di Phelan-McDermid, i risultati dello studio

«Il trattamento ha portato dunque a miglioramenti duraturi a livello di comportamento», afferma Chiara Verpelli, ricercatrice del Cnr-In che ha coordinato lo studio. «I nostri risultati suggeriscono, pertanto, che la ridotta sintesi proteica correlata all’assenza del gene SHANK3 sia un fattore chiave nello sviluppo comportamenti autistici. E che il ripristino precoce e cronico della funzione del recettore mGlu5 in fase postnatale potrebbe rappresentare una strategia per correggere questa anomalia. E ottenere effetti duraturi nel tempo».

Lo studio aggiunge un importante tassello nella comprensione della base biologica di una patologia ancora poco studiata e sottovalutata in termini di finanziamenti. E fornisce nuove informazioni sul meccanismo d’azione dei farmaci che modulano l’attività del recettore mGlu5. Tali composti, infatti, potrebbero rappresentare una nuova, promettente strategia per il trattamento di individui affetti dalla Sindrome di Phelan-McDermid con delezioni o mutazioni di SHANK3.

Fonte: CNR