La psicosi, un termine che evoca immagini di confusione mentale e allucinazioni, rappresenta una delle condizioni psichiatriche più temute e misteriose della nostra epoca. Definita come una perdita di contatto con la realtà, la psicosi può manifestarsi in varie forme, tra cui la schizofrenia, il disturbo bipolare e la depressione psicotica.
La vera sfida nella gestione della psicosi risiede nella sua diagnosi precoce e nella prevenzione delle complicazioni che possono derivare da un trattamento tardivo.
Fortunatamente, gli scienziati dell’Università di Tokyo hanno compiuto un passo avanti significativo nello sforzo per anticiparne l’insorgenza, sviluppando un classificatore basato sull’apprendimento automatico che potrebbe rivoluzionare il modo in cui viene diagnosticata questa condizione debilitante.
Nuovi orizzonti nella diagnosi della psicosi: l’innovativo classificatore dell’Università di Tokyo
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Un consorzio internazionale di ricercatori, guidato dall’Università di Tokyo, ha messo a punto un potente strumento diagnostico che potrebbe rivoluzionare il modo in cui identifichiamo e trattiamo la psicosi.
Questa tecnologia all’avanguardia, basata sull’apprendimento automatico, è stata impiegata per analizzare le scansioni cerebrali di oltre 2.000 individui provenienti da ventuno diverse località del mondo. Metà dei partecipanti erano altamente “a rischio” .
I risultati sono stati sorprendenti: il classificatore ha dimostrato un’accuratezza straordinaria, distinguendo con un’affidabilità dell’85% tra le persone a basso rischio e quelle che in seguito hanno manifestato sintomi psicotici evidenti. Anche con nuovi dati, la precisione rimaneva ancora alta, attestandosi al 73%. I risultati, pubblicati su Molecular Psychiatry, rappresentano una svolta nella diagnosi precoce della psicosi.
Ma cosa significa tutto ciò per il pazienti?
La psicosi, un fenomeno complesso che coinvolge deliri, allucinazioni e pensiero disorganizzato, può colpire chiunque, indipendentemente da età, sesso o status sociale.
Le cause possono essere molteplici.
Dalle malattie e traumi alle predisposizioni genetiche fino all’uso di droghe. Tuttavia, con l’intervento precoce, la psicosi è trattabile e la maggior parte delle persone guarisce completamente.
Ciò che rende questa scoperta così rivoluzionaria è la sua capacità di individuare i segni precoci della psicosi, consentendo interventi tempestivi che migliorano significativamente l’esito clinico.
Poiché l’età più comune per il primo episodio è durante l’adolescenza o la prima età adulta, questo strumento potrebbe essere particolarmente vitale nel fornire assistenza ai giovani che ne hanno bisogno.
Il classificatore intelligente
Il cuore di questa innovazione risiede nella capacità del classificatore di analizzare le scansioni cerebrali MRI e distinguere tra soggetti sani e individui a rischio di sviluppare un episodio psicotico.
Come accennato, utilizzando un vasto insieme di dati raccolti da soggetti con una storia di psicosi e confrontandoli con quelli di individui sani, i ricercatori hanno identificato pattern distintivi nelle regioni cerebrali che potrebbero indicare un rischio aumentato di psicosi.
Le regioni del cervello che mostrano queste differenze includono quelle coinvolte nel controllo dell’umore, nella percezione sensoriale e nelle funzioni cognitive superiori.
I risultati suggeriscono che la psicosi potrebbe essere associata a cambiamenti strutturali e funzionali specifici nel cervello, che possono essere rilevati attraverso le moderne tecniche di imaging cerebrale.
L’obiettivo finale dello strumento diagnostico è ovviamente quello di consentire ai medici di intervenire precocemente nei confronti delle persone a rischio.
Cosa che potrebbe fare la differenza tra una vita di sofferenza e una di stabilità mentale e benessere.
«Al massimo solo il 30% degli individui ad alto rischio clinico manifesta successivamente sintomi psicotici evidenti, mentre il restante 70% no».
Questo il momento del professore associato Shinsuke Koike della Graduate School of Arts and Sciences dell’Università di Tokyo.
«Pertanto, i medici hanno bisogno di aiuto per identificare coloro che svilupperanno sintomi psicotici. Dovranno quindi utilizzare, non solo segni subclinici, come cambiamenti nel pensiero, nel comportamento e nelle emozioni, ma anche alcuni marcatori biologici».
Una sfida per medici e pazienti
La ricerca sulla risonanza magnetica nei disturbi psicotici presenta sfide uniche, spiega Koike.
Le variazioni nello sviluppo del cervello e nei macchinari per la risonanza magnetica possono rendere difficile ottenere risultati accurati e confrontabili.
Inoltre, nei giovani può essere complesso distinguere tra i cambiamenti tipici dello sviluppo e quelli dovuti a una malattia mentale.
«Diversi modelli MRI hanno parametri diversi che influenzano anche i risultati», prosegue l’autore dello studio.
«Proprio come con le fotocamere, diversi strumenti e specifiche di ripresa creano immagini diverse della stessa scena.
In questo caso parliamo del cervello del partecipante.
Tuttavia, siamo stati in grado di correggere queste differenze e creare un classificatore ben calibrato per prevedere l’insorgenza della psicosi».
Dettagli sullo studio: la suddivisione dei partecipanti
I partecipanti sono stati divisi in gruppi di persone ad alto rischio clinico.
Un primo era composto da pazienti affetti psicosi, uno da quelli che non l’avevano sviluppata e persone con stato di follow-up incerto (1.165 persone in totale per tutti e tre i gruppi).
Infine, un quarto gruppo di controlli sani per confronto (1.029 persone).
Utilizzando le scansioni MRI cerebrali, i ricercatori hanno addestrato un sofisticato algoritmo di apprendimento automatico per identificare i modelli nell’anatomia del cervello dei partecipanti. Questo ha permesso loro di classificare i partecipanti in due principali gruppi di interesse: controlli sani e quelli ad alto rischio di sviluppare psicosi.
In definitiva, i ricercatori credono che fornire scansioni MRI cerebrali a individui identificati come ad alto rischio clinico potrebbe essere un passo avanti nel prevedere la futura insorgenza di psicosi. Di conseguenza, si potranno garantire interventi tempestivi e mirati.
Necessità di ulteriori studi
«Dobbiamo ancora verificare se il classificatore funzionerà bene per nuovi insiemi di dati.
Per quanto riguarda un set di dati fisso, dobbiamo costruire un classificatore in grado di definire in modo affidabile le risonanze magnetiche provenienti da nuovi siti e macchine.
Una sfida che un progetto nazionale di scienze del cervello in Giappone, chiamato Brain/MINDS Beyond, sta affrontando». Questa la conclusione di Koike.
«Se riusciamo a farlo con successo, possiamo creare classificatori più robusti per nuovi set di dati.
Questi potranno poi essere applicati alla vita reale e ai contesti clinici di routine».
Fonte
Utilizzo di misure di neuroimaging strutturale cerebrale per prevedere l’insorgenza della psicosi in individui ad alto rischio clinico. Psichiatria molecolare (2024).
Materiale fornito dall’Università di Tokyo