La riuscita di un ciclo di procreazione medicalmente assistita (PMA) è influenzata anche dall’età dell’uomo e dai parametri del liquido seminale. L’argomento è da tempo oggetto di studio in tutto il mondo.
In Italia, i dati raccolti dal gruppo Genera, specializzato in Medicina della riproduzione, avvalorano l’esistenza di questa probabile “influenza” nei trattamenti per l’infertilità. A ribadirlo è uno studio presentato al 39° congresso della Società europea di medicina della riproduzione ed embriologia (Eshre) di Copenaghen.
Lo studio del centro Genera di Roma sulla PMA
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Rossella Mazzilli, androloga del centro Genera di Roma, ha spiegato come si è svolto il lavoro. «In questo studio ci siamo domandati quale fosse l’impatto dei parametri seminali e dell’età paterna sui risultati embriologici e clinici nei cicli di fecondazione assistita eseguiti tramite Icsi (l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo all’interno dell’ovocita, che si oppone alla Fivet in cui i gameti sono lasciati ‘liberi’ di fecondarsi in vitro)».
C’era stato, tuttavia, un precedente studio che aveva fatto notare «un’associazione tra la presenza di un fattore di infertilità maschile severo – ha proseguito Mazzilli – e una riduzione dei tassi di fecondazione/blastulazione. Cioè la capacità di un embrione prodotto in vitro di raggiungere lo stadio di blastocisti, necessario per avere le carte in regola nella strada verso la gravidanza».
Il lavoro non aveva, però, evidenziato alcun impatto sul fatto che l’embrione, dopo aver raggiunto lo stadio di blastocisti, fosse anche cromosomicamente sano.
Età paterna e procreazione medicalmente assistita
Oggi, i dati sull’effetto dell’età paterna sono controversi. Secondo l’esperta, «la maggior parte degli studi fino ad oggi condotti non menzionava i tassi cumulativi di bambini nati vivi per ciclo. Si basava sui criteri dell’Who 2010, recentemente aggiornati nel 2021. Il nuovo manuale ha introdotto importanti cambiamenti, sia nella metodologia che nell’interpretazione dei risultati. Ha eliminato definitivamente il concetto di normalità e i valori minimi di riferimento per il liquido seminale».
Il gruppo di lavoro, considerando i nuovi criteri ha «analizzato retrospettivamente i risultati di 4.013 cicli Icsi con Pgt-A (test genetico pre-impianto), condotti da 3101 coppie. Abbiamo osservato come una ridotta motilità degli spermatozoi e la presenza di una concentrazione, morfologia e motilità <5° percentile sono associati a esiti embriologici peggiori. E ad un tasso cumulativo di nati vivi per ciclo Pgt-A concluso ridotto. Per quanto riguarda l’età paterna, sembra influire negativamente sulla blastulazione e sulla qualità embrionaria».
PMA, gli studi sulla riproduzione proseguiranno
Il lavoro necessita di ulteriori approfondimenti. «Sicuramente il nostro studio presenta dei limiti. In primis, il 9% dei cicli non è ancora concluso. Tuttavia, crediamo che i risultati di questo studio possano fornire ai professionisti operanti nel mondo della medicina della riproduzione dei dati utili per il counseling alle coppie infertili sulle loro possibilità di successo durante la fecondazione in vitro.
Ciò potrebbe essere utile per l’iter decisionale relativo alle strategie cliniche più efficaci da applicare. Ma anche per attribuire al fattore maschile la giusta considerazione e il giusto peso», ha concluso Mazzilli.