I disturbi dell’alimentazione sono una problematica che colpisce migliaia di giovani a partire dai 6 anni di età. Tra i più conosciuti, l’anoressia nervosa è quello maggiormente diffuso e difficilmente riconoscibile. Il nome ha origine dal greco e significa “mancanza di appetito”. Può sembrare una definizione errata o non esattamente appropriata, perché il fulcro dell’anoressia nervosa non è l’assenza di fame, ma l’ambizione patologica di essere magre.
I meccanismi dell’anoressia nervosa
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La mente che sta dietro all’anoressia è rivolta alla costante preoccupazione del controllo del corpo e del cibo. Sembrano persone forti e determinate, ma sono in realtà colme di paure e ansie. L’anoressia nervosa sembra una modalità per controllare questi timori. Ovviamente, focalizzando l’attenzione sul cibo, sul peso e sul corpo, rende le persone più insensibili alle emozioni, danneggiando anche la capacità di relazionarsi con gli altri e di godere delle sensazioni positive.
Sono tanti gli elementi caratteristici dell’anoressia, come i comportamenti attuati e le preoccupazioni ripetitive sul controllo del corpo e l’assunzione del cibo. C’è chi conta le calorie, chi cucina piatti sofisticati per i familiari. Spesso le persone sminuzzano il cibo in pezzi piccolissimi o lo nascondono.
Gli aspetti psicologici dell’anoressia nervosa
Uno dei gravi problemi dell’anoressia nervosa è che, nonostante l’evidente magrezza, la visione di sé è comunque di persona in sovrappeso o, in ogni caso, l’immagine è distorta rispetto alla realtà. Ovviamente anche l’autostima è strettamente correlata alla forma corporea e al peso. Infatti, il dimagrimento viene visto come una conquista ottenuta con un rigido controllo e una forte autodisciplina.
Tuttavia, ci sono anche altri aspetti psicologici, oltre la bassa autostime, che caratterizzano enormemente questa patologia, quali depressione, difficoltà interpersonali, perfezionismo e paura di crescere. Si innescano, infatti, dei meccanismi biologici che provocano grandi cambiamenti. I familiari di persone anoressiche notano una chiusura verso il mondo, una maggiore irritabilità, perdita di interesse verso ciò che si amava e verso i rapporti sociali.
Chi soffre di anoressia nervosa, può mostrare sintomi depressivi o apatia e indifferenza. Può succedere che la depressione non sia una conseguenza, ma la causa di disturbi alimentari. Spesso, chi soffre di tali patologie può avere di base un’identità molto fragile, che porta a richiedere il meglio in ogni ambito, e problemi relazionali.
Diagnosi: i vari criteri secondo il DSM-5
Esistono tre criteri per diagnosticare l’anoressia nervosa e sono racchiusi nel DSM-5. Il primo è la riduzione del peso corporeo a causa di una restrizione dell’apporto energetico rispetto al fabbisogno. Si tende infatti a raggiungere un peso notevolmente inferiore al range. Il secondo è una paura molto forte di prendere peso o diventare grasso. Il terzo è il modo in cui la persona vive la propria forma corporea e il proprio peso, che incidono notevolmente sull’autostima, e la negazione della gravità della condizione di sottopeso.
L’anoressia si divide in due sottotipi. In quello restrittivo, la persona non ha avuto costanti crisi bulimiche o comportamenti di eliminazione negli ultimi tre mesi. Il secondo tipo prevede ricorrenti crisi bulimiche ed eliminazioni volontarie, con vomito autoindotto o abuso di lassativi.
Per effettuare una giusta diagnosi, è anche necessario comprendere il livello di gravità in cui si trova attualmente la persona. La gravità si basa in primis sul l’indice di massa corporea o sul percentile di massa corporea. Bisogna però tenere conto di sintomi clinici e grado di disabilità funzionale. Esistono quattro livelli di gravità basati sull’IMC: lieve, quando l’indice è pari o superiore a 17kg/m2; moderato, con 16-16,99 kg/m2; grave, 15-15,99kg/m2; estremo, con indice inferiore a 15kg/m2.