L’acido obeticolico è usato da anni per controllare la progressione della Colangite Biliare Primitiva (CBP), una rara malattia del fegato che colpisce soprattutto le donne. Oggi, in tutta Europa, rischia di non essere più disponibile per i pazienti.

Lo scorso 3 settembre, infatti, la Commissione Europea ne ha revocato l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata (AIC condizionata). Ha, così, ratificato la raccomandazione del Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA).

Tale raccomandazione non riporta alcuna preoccupazione sulla sicurezza dell’acido obeticolico e riflette la valutazione del rapporto rischio/beneficio complessivo effettuata dal Comitato. Si basa in gran parte su un singolo studio (il COBALT) randomizzato controllato con placebo, con molteplici limitazioni. Non tiene in adeguata considerazione una grande quantità di evidenze raccolte nella pratica clinica (Real World Evidence, RWE) e il consenso degli esperti.      

In futuro il farmaco potrebbe non essere più accessibile

Il 5 settembre scorso è giunta la notizia che la Corte di Giustizia Europea ha sospeso temporaneamente la decisione della Commissione Europea. Ciò significa che, fino a nuovo avviso, il farmaco potrà continuare a essere prescritto a nuovi pazienti. Ed anche a chi ne faceva già uso in regime di rimborsabilità. Solo in Italia sono 1400 le persone che lo utilizzano, seguite in oltre 150 centri di epatologia. 

Se in futuro la decisione della Commissione Europea dovesse essere confermata, il farmaco potrebbe non essere più accessibile per nessuno. Una prospettiva che preoccupa l’intera comunità dei pazienti con CBP. Comunità che chiede di utilizzare questo periodo di sospensione per trovare una soluzione che tuteli la continuità terapeutica per i pazienti che traggono benefici dal trattamento.

Altri trattamenti sono in fase di sviluppo

La colangite biliare primitiva è una malattia rara, autoimmune grave e progressiva del fegato. Colpisce prevalentemente le donne con un rapporto femmine-maschi di 9 a 1.

«La CBP provoca una patologia cronica con possibilità di andare verso la cirrosi e il trapianto di fegato». Lo ha spiegato Annarosa Floreani, Studiosa Senior all’Università di Padova e Consulente Scientifico all’IRCCS di Negrar, Verona. «Se non si trova subito una soluzione, il rischio è di tornare indietro di oltre 7 anni. Cioè ad uno stadio precedente all’entrata in commercio di questo farmaco».

Altri trattamenti sono in fase di sviluppo, ma attualmente non sono ancora disponibili per i pazienti e non sono dimostrati nella pratica clinica. Inoltre, hanno meccanismi d’azione diversi e non sono quindi intercambiabili con l’acido obeticolico. È pertanto fondamentale che i medici abbiano a disposizione un’ampia varietà di trattamenti per la cura dei pazienti affetti da CBP.

Acido obeticolico, utilizzato con successo per 7 anni

L’acido obeticolico è autorizzato al commercio in Italia dal 2017 come unica opzione terapeutica di seconda linea. Questo per i pazienti che non hanno un adeguato controllo della malattia con la prima linea a base di acido ursodesossicolico.

Inoltre, è stato utilizzato con successo in pratica clinica per sette anni e sono stati raccolti dati post-marketing relativi alla sicurezza di più di 40.000 pazienti/anno. È stato, così, confermato un profilo di sicurezza ben definito.

Al momento non esiste alcuna alternativa terapeutica di seconda linea. In ogni caso, laddove nei prossimi mesi dovessero essere disponibili alternative terapeutiche per la CBP, queste agirebbero con meccanismi d’azione diversi dall’acido obeticolico.

Nessuno studio è stato fatto sugli effetti e la responsiveness dei pazienti in trattamento con acido obeticolico nel caso di switch.

Farmaci sulle malattie rare, cambiare i protocolli

Il caso presenta diverse anomalie. In primis «il fatto che negli Stati Uniti lo stesso farmaco è regolarmente in commercio», ha dichiarato Ivan Gardini, Presidente dell’Associazione EpaC ETS. In secondo luogo, si deve notare «che EMA da una parte raccomanda il ritiro del farmaco. Ma nello stesso tempo afferma che i pazienti in terapia possono continuare attraverso programmi di uso compassionevole. Ritirare dal commercio un farmaco dopo 7 anni dalla sua approvazione non è normale», conclude Gardini.

Ci sono anche altre anomalie. Queste dovrebbero far capire a quanti sono coinvolti nei processi di approvazione dei farmaci sulle malattie rare che in futuro serviranno protocolli di studio diversi. Nell’immediato, intanto, serve una soluzione per tutelare la continuità terapeutica di molti pazienti che traggono vantaggio dalla terapia. Questo è il secondo caso, in pochi mesi, di ritiro dal commercio di un farmaco per malattie rare.