Un team di ricerca internazionale, guidato dall’italiano Lorenzo Bianco, ha identificato un nuovo gene responsabile della retinite pigmentosa (RP). Si tratta di IDH3G, che è il quarto gene ad essere associato alla forma di questa malattia legata al cromosoma X.

Lo studio è stato recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Genetics in Medicine.

«È un passo avanti importante per la comprensione di una malattia complessa come la retinite pigmentosa. È una rara patologia degenerativa della retina che porta progressivamente alla perdita della vista». Così Sandro Banfi, ordinario di Genetica Medica presso il Dipartimento di Medicina di Precisione dell’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’. Banfi è anche ricercatore TIGEM (Istituto Telethon di Genetica e Medicina) di Pozzuoli e membro SIGU (Società Italiana di Genetica Umana).

La retinite pigmentosa causa un peggioramento della vista

La retinite pigmentosa è il nome dato a un insieme di malattie genetiche (le distrofie retiniche ereditarie). Esse colpiscono la retina, la parte dell’occhio che permette di vedere.

Queste malattie causano un lento peggioramento della vista e, nei casi più gravi, possono portare alla cecità.

Di solito, i primi segnali compaiono prima dei 20 anni e includono difficoltà a vedere quando c’è poca luce (come al crepuscolo). Ma anche un restringimento del campo visivo, cioè si vede sempre meno ai lati, come se si guardasse attraverso un tunnel.

In altre forme, invece, come ad esempio la malattia di Stargardt, la perdita della vista inizia dalla parte centrale del campo visivo.

In alcuni casi la retinite pigmentosa non colpisce solo la vista: può essere accompagnata anche da altri problemi, come la sordità.

Approvata una terapia genica per le malattie retiniche

La retinite pigmentosa è associata a più di 80 geni mutati, ma solo 4 sono legati al cromosoma X, quindi al cromosoma sessuale. Il gene IDH3G è correlato alle funzioni mitocondriali (deputate alla produzione di energia). La scoperta apre la strada ad alcune potenziali implicazioni terapeutiche, sia farmacologiche che correlate alla terapia genica.

Per le malattie retiniche è già stata approvata una terapia genica (voretigene neparvovec), indicata però solo per la forma causata dalla mutazione biallelica del gene RPE65.

«Ci sono molte terapie in fase di sperimentazione clinica – prosegue Banfie insieme a me ci sono molti colleghi di SIGU – Società Italiana di Genetica Umana. Tutti impegnati in prima persona nella ricerca delle cause della retinite pigmentosa e altre patologie retiniche e nella messa a punto di nuovi approcci terapeutici. In Italia SIGU fortemente impegnata su ricerca e terapia per le patologie della retina».

Fondamentale partecipare ai network internazionali

Secondo Banfi è fondamentale partecipare ai network internazionali quando si tratta di diagnosticare e curare malattie genetiche così complesse.

«La massiccia adesione dei genetisti SIGU a tali iniziative – prosegue l’esperto – contribuisce a rafforzare la fondamentale collaborazione tra oculisti, genetisti e ricercatori di base. È, infatti, l’oculista a porre la diagnosi clinica di retinite pigmentosa. Ma per capire di fronte a quale forma genetica ci troviamo è necessario che un genetista medico prenda in carico il paziente. Accompagnandolo così verso un test NGS (Next Generation Sequencing) che possa identificare il gene mutato. Solo mappando geneticamente i pazienti con retinite pigmentosa i ricercatori possono sviluppare e studiare nuove terapie. Queste ultime devono essere sottoposte a sperimentazione clinica proprio dagli stessi oculisti», conclude Banfi.