Venerdì 29 novembre è la Giornata Mondiale del Cuore, un’occasione per ricordare l’importanza della prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Secondo i dati del Ministero della Salute, le malattie cardiovascolari sono responsabili del 44% di tutti i decessi. In particolare la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia con il 28%. Al terzo posto ci sono gli accidenti cerebrovascolari con il 13% dopo i tumori.
Cuore, cosa sono le aritmie e chi colpiscono?
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Tra le malattie cardio-cerebrovascolari troviamo anche le aritmie: disturbi del ritmo cardiaco o della frequenza cardiaca. L’irregolarità dei battiti al minuto può essere troppo veloce (tachicardia), troppo lenta (bradicardia) o con un ritmo completamente irregolare (per esempio la fibrillazione atriale).
Quando leggiamo dell’improvvisa morte di un giovane atleta sul campo, spesso è causata da un’aritmia grave congenita. Infatti, la morte cardiaca improvvisa ogni anno colpisce circa mille persone al di sotto dei 35 anni, molti dei quali in ottima salute.
Aritmia grave congenita, mutazione del Dna
Questo accade perché si tratta di una malattia cardiaca occulta, caratterizzata da sindromi aritmiche su base genetica: il battito del cuore è suscettibile a sviluppare aritmie gravi a causa di una mutazione del Dna. L’evento aritmico può portare a uno svenimento che diviene così la prima manifestazione della malattia.
Dunque l’analisi genetica è estremamente importante perché permette di identificare la diagnosi ma anche la cura specifica. Non esistono trattamenti che guariscono ma solo terapie che riducono i rischi di aritmie gravi.
Tuttavia sono stati compiuti importanti passi avanti nella ricerca e c’è la possibilità di poter intervenire attraverso trattamenti basati sulla “terapia genica”.
Cuore, l’intervento della cardiologa Priori
La cardiologa molecolare Silvia Priori – professoressa di Cardiologia all’Università di Pavia e direttrice dell’Unità di Cardiologia Molecolare degli Istituti clinici e Scientifici Maugeri di Pavia – nella sua intervista su Focus, spiega che c’è la possibilità di curare i difetti genetici grazie alla terapia genica.
“La terapia genica consiste nell’intervenire con strategie molecolari, sia correggendo la carenza di proteina, sia riducendo l’attività delle proteine iperfunzionanti” spiega la Prof.ssa Priori.
La “Terapia genica” e alcuni passaggi
La carenza di proteina può essere affrontata facendo “arrivare al cuore il Dna sintetico che contiene le istruzioni per produrre la proteina mancante”.
“Una volta sintetizzato, il gene ‘normale’ viene inserito in un virus, innocuo, che funge da vettore: una siringa biologica che entra nelle cellule del paziente, raggiunge il nucleo e vi inietta il Dna che abbiamo prodotto in laboratorio, avviando così la sintesi della proteina mancate” dichiara Priori.
Sulla riduzione dell’attività delle proteine iperfunzionanti, la cardiologa di Pavia, spiega che “si utilizza un meccanismo presente nelle cellule che si chiama l’interferenza dell’Rna: piccole molecole di Rna disegnate specificatamente per la proteina di cui vogliamo ridurre la quantità, distruggono l’Rna messaggero (mRna) che produce la proteina mutata, lasciando però inalterata la quantità di proteina normale”.
“Terapia genica”, quali sono i vantaggi
La terapia genica non sarà applicabile per tutti i pazienti con aritmie congenite. Ma il vantaggio di questo tipo di terapia è che potrebbe bastare una singola somministrazione per risolvere il problema per anni.
“Dai dati sugli animali – continua la cardiologa – si stima che il Dna o gli Rna possano compensare gli effetti del difetto genetico per almeno una decina di anni. E se questo si dimostrerà altrettanto vero nei pazienti significherà correggere l’aritmia, vincolarsi dalla terapia quotidiana a lungo termine con i farmaci e recuperare quindi una migliore qualità di vita”.
Gli studi clinici potrebbero iniziare nell’arco di un anno “ma non vogliamo dare false speranze perché la fase di preparazione è lunga ed articolata” sottolinea Priori.