Un recente studio della Northwestern University ha rivelato che un composto microbico naturale potrebbe rallentare la progressione della vitiligine e favorire il ripristino della pigmentazione. Questa scoperta apre nuove prospettive terapeutiche per una patologia autoimmune che incide profondamente sulla salute fisica e sul benessere psicologico
Una patologia complessa e impattante
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La vitiligine è una malattia autoimmune cronica che provoca la perdita progressiva della pigmentazione cutanea. Si manifesta con macchie bianche prive di melanina, solitamente localizzate nelle zone più esposte, come viso, mani, braccia e cuoio capelluto, ma può estendersi anche alle mucose e alla retina. La malattia interessa tra lo 0,5% e il 2% della popolazione mondiale, senza distinzione di genere o etnia, e risulta particolarmente visibile nelle persone con carnagione scura, con implicazioni estetiche e psicologiche significative.
Le cause esatte del disturbo restano ancora in parte sconosciute, ma l’evidenza scientifica suggerisce un’origine multifattoriale, in cui si intrecciano fattori genetici, ambientali e immunitari. Il sistema immunitario attacca erroneamente i melanociti, ovvero le cellule responsabili della produzione della melanina, il pigmento che conferisce colore alla pelle. Questo fenomeno è orchestrato dai linfociti T citotossici, che identificano i melanociti come elementi estranei e ne causano la distruzione progressiva.
Alcuni elementi possono contribuire allo sviluppo della malattia. La predisposizione genetica ha un ruolo significativo, poiché circa il 30% dei pazienti presenta una storia familiare della patologia. Fattori ambientali, come l’esposizione eccessiva al sole, eventi stressanti, infezioni virali o traumi cutanei, possono innescare la comparsa della vitiligine in soggetti predisposti. L’alterazione del microbiota intestinale è un altro aspetto emergente, con recenti studi che suggeriscono un possibile legame tra la flora batterica intestinale e la risposta immunitaria aberrante che porta alla perdita di pigmentazione.
Un impatto che va oltre l’aspetto estetico
Il segno più evidente della vitiligine è la comparsa di macchie bianche sulla pelle, che possono espandersi in modo imprevedibile. Alcuni pazienti sviluppano anche incanutimento precoce di capelli, ciglia e sopracciglia, oltre alla perdita di pigmentazione delle mucose, che può interessare labbra, interno della bocca e genitali. La pelle depigmentata risulta inoltre più sensibile ai raggi solari e maggiormente esposta ai danni da fotodermatite.
L’impatto della malattia non si limita agli aspetti fisici, ma incide profondamente sulla sfera psicologica ed emotiva. La perdita di pigmentazione altera l’immagine corporea, generando ansia, insicurezza e, nei casi più gravi, depressione. Molti pazienti sviluppano un senso di isolamento sociale, temendo il giudizio altrui, mentre in alcune culture la vitiligine viene ancora percepita in modo negativo, con episodi di discriminazione e stigmatizzazione.
Nonostante l’aumento della consapevolezza sulla malattia, la ricerca di trattamenti efficaci rimane una priorità per chi desidera recuperare almeno in parte la pigmentazione cutanea. La modella Winnie Harlow ha dimostrato come sia possibile trasformare la vitiligine in un tratto distintivo, abbattendo i pregiudizi e portando visibilità alla malattia. Tuttavia, molte persone continuano a desiderare soluzioni in grado di stabilizzare la condizione e migliorare la qualità della propria vita.
Le attuali strategie terapeutiche e le loro limitazioni
Per anni, le opzioni terapeutiche per la vitiligine hanno mostrato efficacia variabile, senza garantire risultati uniformi tra i pazienti. I corticosteroidi topici e gli inibitori della calcineurina sono comunemente utilizzati per ridurre l’infiammazione e contrastare l’attacco autoimmune ai melanociti. La fototerapia con UVB a banda stretta rappresenta un’altra opzione terapeutica, poiché stimola la ripigmentazione della pelle, ma richiede trattamenti prolungati per ottenere risultati apprezzabili.
Tra le soluzioni più innovative, il trapianto di melanociti è una tecnica sperimentale che prevede il prelievo di cellule pigmentate da aree sane della pelle per impiantarle nelle zone depigmentate. Tuttavia, questa procedura è complessa e non adatta a tutti i pazienti. Nel 2022, la FDA ha approvato il farmaco Ruxolitinib (Opzelura), la prima terapia specifica per la ripigmentazione, ma i dati mostrano risultati ancora limitati, con solo il 30% dei pazienti che ha ottenuto un recupero della pigmentazione superiore al 75%.
La terapia microbica: un nuovo orizzonte terapeutico
Una scoperta recente della Northwestern University nell’Illinois,pubblicata sul Journal of Investigative Dermatology, ha evidenziato il potenziale di un composto naturale derivato da batteri intestinali benefici nel contrastare la progressione della vitiligine e favorire la ripigmentazione.
Il team guidato dalla professoressa I. Caroline Le Poole ha testato questo composto su un gruppo di topi geneticamente predisposti alla vitiligine per un periodo di 18 settimane. I risultati hanno mostrato una riduzione della perdita di pigmentazione pari al 74%. L’azione della terapia sembra basarsi sulla modulazione del sistema immunitario, con una riduzione dei linfociti T citotossici, responsabili della distruzione dei melanociti, e un aumento delle cellule T regolatorie, che favoriscono la protezione delle cellule pigmentarie.
Secondo la professoressa Le Poole, questa nuova frontiera terapeutica potrebbe offrire un’alternativa ai pazienti che non ottengono benefici dalle terapie attuali. L’obiettivo futuro sarà lo sviluppo di formulazioni adatte all’uso umano, valutando la possibilità di integratori orali o di creme cutanee contenenti il composto microbico.