La terapia genica fetale in utero (IUFGT) è una strategia innovativa per trattare le patologie ereditarie sin dalle prime fasi dello sviluppo fetale. Si possono, così, prevenire danni irreversibili agli organi e migliorare le prospettive di vita. Tuttavia, fino ad oggi la traduzione in clinica di questo approccio è stata limitata dalla prospettiva di interventi molto invasivi. Ma anche da problemi tecnici e di sicurezza e dalla mancanza di modelli animali adeguati. Ora, un gruppo di ricercatori ha messo a punto una procedura sperimentale per la somministrazione di terapie geniche in utero. Procedura che ha il potenziale di correggere i difetti genetici nei feti già durante la gravidanza.
Lo studio è stato coordinato dall’Università degli Studi di Milano e dalla Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta. Ha collaborato il Policlinico di Milano e Avantea di Cremona.
I risultati, pubblicati sulla rivista Gene Therapy del gruppo Nature, aprono la strada a interventi prenatali per le malattie genetiche congenite più gravi.
Sviluppata una procedura minimamente invasiva
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Il gruppo di ricerca ha sviluppato una procedura minimamente invasiva che utilizza una tecnica già in uso nella pratica clinica, l’iniezione ecoguidata transaddominale.
Applicata a suini, questa procedura ha permesso di somministrare un vettore virale (AAV9) direttamente al feto attraverso la vena ombelicale o il cuore. Il vettore conteneva un gene marcatore (GFP). La scelta dei suini è dovuta alla loro stretta somiglianza fisiologica con l’uomo.
«Il nostro obiettivo era dimostrare che una procedura semplice, sicura ed efficace può essere adottata in un modello animale rilevante per l’uomo. Ciò per gettare le basi della terapia genica prenatale». Così Dario Brunetti, coordinatore dello studio, docente del dipartimento di Scienze cliniche e di comunità dell’Università Statale di Milano e PI presso l’Istituto Neurologico Carlo Besta.
I risultati sono promettenti. I suinetti nati dopo la procedura hanno mostrato un’ampia distribuzione del gene terapeutico in diversi organi, senza effetti collaterali significativi né segni di infiammazione. Anche le madri hanno tollerato bene l’intervento, senza complicazioni.
Un modello da utilizzare per testare nuove terapie
Uno degli aspetti più significativi dello studio è la dimostrazione che il sistema immunitario fetale non sviluppa una risposta avversa al vettore virale. Ciò è un fattore cruciale per l’efficacia e la ripetibilità della terapia genica. Questo modello potrà così essere utilizzato per testare nuove terapie in malattie rare e devastanti. Tra queste, le malattie mitocondriali e altre patologie multisistemiche che iniziano già durante la vita intrauterina.
«La nostra procedura riproduce le tecniche ecoguidate già adottate nella pratica clinica per trasfusioni fetali e altre terapie in utero». Lo afferma Nicola Persico, co-responsabile dello studio, docente del dipartimento di Scienze cliniche e di comunità dell’Università Statale di Milano. «Questo rende la sua traduzione alla specie umana molto più vicina e concreta, perché il know-how tecnico è già presente nei centri di medicina fetale. La prospettiva è quella di intervenire in modo mirato e sicuro sul feto, riducendo al minimo il rischio per la madre. E offrendo una possibilità terapeutica laddove oggi possiamo solo fare una diagnosi».
Terapia genica, possibilità di cure già durante la gestazione
Per la medicina fetale la ricerca in questione rappresenta un passo per un cambio di paradigma. Non più solo diagnosi e supporto alla gravidanza, ma possibilità di vere e proprie cure già durante la gestazione per patologie finora senza alternative.
«Queste evidenze – conclude Brunetti – dimostrano che è possibile intervenire in una fase molto precoce della malattia. Ciò offre notevoli vantaggi rispetto alla terapia genica postnatale: il danno ai tessuti non è ancora irreversibile. Il sistema immunitario ancora immaturo diventa tollerante verso il gene esogeno e la barriera emato-encefalica è ancora permeabile permettendo ai vettori virali di arrivare all’encefalo. Si tratta di un passo importante verso lo sviluppo di terapie innovative per i neonati affetti da malattie genetiche. La prospettiva è di migliorare radicalmente la loro qualità di vita».
Fonte: Università degli Studi di Milano