Marco Cappato, il tesoriere della Fondazione Luca Coscioni, ci riprova sul suicidio assistito. Oggi si è recato nella stessa stazione dei carabinieri – quella di Via Fosse Ardeatine a Milano – in cui cinque anni fa si era già autodenunciato per il caso di DjFabo, per autodenunciarsi di nuovo. Questo caso aveva dato luogo ad un incidente di costituzionalità che ha portato, nel 2019, alla storica sentenza Cappato da parte della Corte Costituzionale dopo una altrettanto storica parziale assoluzione dell’attivista nel processo che era seguito proprio al suicidio assistito di Fabiano Antoniani.
Nei giorni scorsi Cappato ha accompagnato in Svizzera anche la signora Elena. La donna veneta, 69 anni, era affetta da microcitoma polmonare dall’inizio di luglio 2021, un tumore gravissimo che peraltro aveva prodotto metastasi. Al suo rientro a Milano, si è recato dai carabinieri e ha sporto denuncia contro se stesso.
Suicidio assistito possibile solo se tenuti in vita artificialmente
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Conosciuta alle cronache con il nome di fantasia “Adelina” per motivi di privacy, non potendo accedere al suicidio assistito in Italia perché non era “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale“, Elena si è fatta accompagnare da Cappato in Svizzera. La donna infatti era in trattamento soltanto con cortisone e le sue condizioni si sarebbero presto aggravate verso “l’inferno”, come lo ha definito lei stessa.
Il suicidio assistito in Italia è possibile solo alle precise condizioni espresse dalla Corte Costituzionale. E non si tratta di eutanasia, che in Italia è ancora illegale e punibile con gli articoli 579 e 580 cp. “Le due pratiche – spiega l’associazione Coscioni – hanno in comune la volontà (libera e consapevole) della persona (cosciente e in grado di capire le conseguenze delle proprie azioni) che ne fa richiesta e l’esito finale (voluto dalla persona). La differenza riguarda le modalità di escuzione e di coinvolgimento altrui. Nel caso del suicidio medicalmente assistito è il paziente ad autosomministrarsi il farmaco letale, l’eutanasia invece prevece l’intervento di un medico per la somministrazione“.
Arrivata nella clinica di Basilea, la 69enne di Venezia ha dato l’ok al suicidio assistito. La donna non essendo tenuta in vita artificialmente, “non rientrava nei casi previsti dalla sentenza 242\2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo per l’accesso al suicidio assistito in Italia“. Lo ha spiegato l’associazione Coscioni in una nota. Quindi ha dovuto procedere con la procedura d’oltralpe.
Elena: “Avrei voluto tenere la mano di mia figlia”
La signora Elena, prima di procedere con il suicidio assistito, ha voluto lasciare la propria testimonianza. In un video messaggio, l’ultimo, esprime la sua scelta – condivisa con la famiglia, dalla quale ha ricevuto il supporto di cui aveva bisogno – con una disarmante consapevolezza.
Ha detto: “Sono sempre stata convinta che ogni persona debba decidere sulla propria vita e debba farlo anche sulla propria fine, senza costrizioni, senza imposizioni, liberamente; e credo di averlo fatto, dopo averci pensato parecchio, mettendo anche in atto convinzioni che avevo anche prima della malattia. Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa, tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile e, quindi, ho dovuto venire qui da sola“.
Per aver accompagnato la signora Elena in Svizzera, Cappato rischia ora fino a 12 anni di carcere. Un rischio che la signora ha voluto risparmiare ai suoi familiari, chiedendo all’attivista di accompagnarla. Cappato a sua volta, attraverso la disobbedienza civile, potrà sollevare nuovamente la questione del fine-vita. Un tema sul quale il Parlamento resta immobile e che trova ascolto ormai solo attraverso la giustizia e qualche volta con l’interpretazione costituzionale. Se da una parte, infatti, con una sentenza si fanno passi in avanti verso l’autodeterminazione dei pazienti, dall’altra – con il referendum sull’eutanasia dichiarato inammissibile lo scorso febbraio – è stata negata ai cittadini la facoltà di esprimersi e di indirizzare la politica su un tema così delicato che riguarda tutti.