L’autonomia differenziata è approdata il 16 gennaio nell’Aula di Palazzo Madama. Essa «rappresenterà il punto di svolta per lo stato sociale così come lo abbiamo conosciuto fin adesso in Italia. Si correrà il rischio concreto che non sarà più garantita l’esigibilità dei diritti. E nemmeno l’accesso alle prestazioni sociali e sanitarie in modo uniforme in tutto il Paese, a dispetto di quanto prevede la nostra Costituzione». A parlare è Pina Onotri, Segretario Generale del Sindacato Medici Italiani.
L’autonomia differenziata in sanità, difatti, legittimerà il divario tra Nord e Sud. E violerà il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. Ecco perché risulta fondamentale escludere la tutela della salute dagli ambiti di autonomia e lavorare per ridurre le disuguaglianze tra i diversi sistemi regionali.
Sanità, l’autonomia differenziata aumenta i divari
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In un report dello scorso anno realizzato dalla Fondazione Gimbe è stato valutato il possibile impatto delle autonomie sul Servizio Sanitario Zazionale (SSN). Sono state le regioni con le migliori performance sanitarie, cioè Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, a richiedere l’attuazione delle maggiori autonomie.
Queste sono «inevitabilmente destinate – si legge nel report – ad amplificare le diseguaglianze di un Sistema Sanitario Nazionale, oggi universalistico ed equo solo sulla carta».
Un provvedimento che sconvolge il meccanismo di solidarietà
Con il provvedimento presentato a Palazzo Madama «il sistema sanitario è finanziato regionalmente. Le entrate – continua Onotri – vengono raccolte e utilizzate solo all’interno della stessa regione, non più distribuite su tutto il paese. Ciò comporta che le risorse necessarie per l’assistenza dipendono dalla capacità fiscale specifica di ogni territorio. E non più dalle effettive esigenze sanitarie e di salute della popolazione. Quello che viene a mancare è un vero e proprio meccanismo di solidarietà. Lo strumento, cioè, per mitigare, ridurre e prevenire le disuguaglianze sulla salute delle persone».
Nel 2021 il Sud ha ricevuto meno finanziamenti
Senza criteri veramente solidali e centralizzati, tenuto conto di tutte le debolezze che le regioni hanno mostrato nella lotta al Covid, si creeranno molti disequilibri. A cominciare dalle risorse pubbliche per i LEA (le entrate regionali e le integrazioni dello stato).Queste «non saranno in grado di soddisfare i bisogni di salute differenziali della popolazione», evidenzia il segretario SMI.
«Dati alla mano, nel 2021 il finanziamento per il Mezzogiorno è risultato inferiore del 7% rispetto alla media del Centro-Nord, secondo alcuni centro studi. Mentre le persone in cattiva salute sono aumentate specie nel Centro-Sud. Per quanto riguarda la contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, si mette in atto una concorrenza fra Regioni. Questa provocherà un ulteriore trasferimento di personale nelle Regioni più ricche. E determinerà un aumento della mobilità interregionale, in particolare dal Sud al Nord con un incremento delle diseguaglianze».
Autonomia differenziata: il Sindacato dei Medici Italiani
In sanità si legittimerà il divario tra Nord e Sud. «Peraltro proprio quando il Paese ha sottoscritto con l’Europa il PNRR, il cui obiettivo trasversale è proprio quello di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali. Invece, si rompe con ogni idea di equa distribuzione delle risorse e si arriverà all’irreversibile frammentazione del SSN. L’autonomia differenziata, inoltre, reintrodurrebbe, di fatto, le gabbie salariali e metterebbe seriamente a rischio la contrattazione collettiva a livello centrale», conclude Onotri.
Il Sindacato dei Medici Italiani lancia un appello a tutti i colleghi, ai cittadini, alle associazione dei malati e ai sindacati della categoria medica. Ciò al fine di realizzare nel Paese iniziative atte a bloccare l’autonomia differenziata e a rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale equo, universale e pubblico.