I difetti cardiaci congeniti che compromettono le camere inferiori del cuore rappresentano una grave sfida per i neonati, costretti a subire numerosi interventi chirurgici invasivi già nei primi anni di vita. Un nuovo dispositivo, uno shunt espandibile attivato dalla luce, promette di ridurre significativamente il numero di operazioni necessarie. Questa tecnica, non solo migliora la qualità della vita dei piccoli pazienti, riduce altresì i rischi associati a ripetuti interventi a torace aperto

Difetti cardiaci congeniti nei neonati e rischi della chirurgia: uno shunt espandibile

I difetti cardiaci congeniti rendono necessari ripetuti interventi chirurgici. Un nuovo shunt espandibile permette di ridurre i rischi associati alle operazioni

I difetti cardiaci congeniti rappresentano una delle principali cause di mortalità e morbilità tra i neonati, specialmente quando compromettono le camere inferiori del cuore, i ventricoli. Queste malformazioni ostacolano il corretto flusso sanguigno verso i polmoni e altre parti vitali del corpo. Il che rende necessari interventi chirurgici per assicurare la sopravvivenza dei piccoli. Solitamente, il primo intervento consiste nell’impianto di uno shunt, un tubo di plastica che migliora il flusso sanguigno. 

Tuttavia, la crescita dei bambini con difetti cardiaci congeniti comporta un aumento significativo delle dimensioni del corpo, che rende inadeguato lo shunt originariamente impiantato.

«Dopo che il chirurgo ha messo per la prima volta il tubo, questi bambini devono spesso sottoporsi a altri due o tre, forse anche quattro, interventi chirurgici solo per impiantare un tubo leggermente più grande». A dichiararlo, Christopher Rodell, assistente professore di ingegneria biomedica alla Drexel University di Philadelphia. Ogni intervento chirurgico a torace aperto comporta rischi considerevoli, inclusi infezioni, complicazioni post-operatorie e, nei casi peggiori, la morte del paziente. E qui, la novità.

Uno shunt espandibile attivato dalla luce

In risposta a queste sfide, un gruppo di ricercatori guidato da Christopher Rodell ha sviluppato un innovativo shunt espandibile, progettato per adattarsi alla crescita del bambino senza necessitare di ulteriori interventi chirurgici invasivi. Il dispositivo di drenaggio è rivestito all’interno con un idrogel, una sostanza gelatinosa che contiene una rete di polimeri, ossia lunghe catene di molecole legate tra loro. Quando l’idrogel viene esposto alla luce blu, i polimeri al suo interno formano nuovi legami incrociati, cioè collegamenti aggiuntivi tra le molecole.

Questo cambiamento nella struttura interna dell’idrogel forza l’acqua presente al suo interno a uscire. Una volta espulsa, l’idrogel si contrae, riducendo il suo volume, ma aumentando lo spazio disponibile all’interno del tubo di drenaggio. Di conseguenza, il diametro interno dello shunt si espande, permettendo un maggiore flusso di liquido attraverso di esso.

Rodell evidenzia come l’uso della luce blu rappresenti un notevole vantaggio, poiché permette un controllo preciso e mirato dell’espansione del dispositivo. La capacità di attivare l’idrogel in modo localizzato e non invasivo consente infatti di effettuare regolazioni al dispositivo in maniera sicura e senza ulteriori complicazioni per il paziente.

«La luce è sempre stata uno dei miei trigger preferiti, perché puoi controllare quando e dove la applichi – spiega lo scienziato – Il nostro obiettivo è quello di espandere l’interno del tubo con un catetere emettitore di luce che inseriamo all’interno dello shunt, eliminando completamente la necessità di ulteriori interventi chirurgici».

Test di laboratorio e prospettive future

I primi test di laboratorio hanno dimostrato che lo shunt può espandersi fino al 40%, aumentando il suo diametro da 3,5 a 5 millimetri. In pratica, equivale alle dimensioni degli shunt più grandi attualmente impiantati. Questi risultati suggeriscono che, una volta impiantato, il dispositivo potrebbe essere adattato nel tempo per soddisfare le esigenze specifiche di ogni bambini.

Cosa che potrebbe ridurre o addirittura eliminare la necessità di ulteriori interventi chirurgici.

Sicurezza

Oltre all’efficacia dell’espansione, i ricercatori hanno valutato come lo shunt interagisce con il corpo, in particolare con le cellule del sangue e i vasi sanguigni. Fortunatamente, non sono state riscontrate reazioni avverse come la formazione di coaguli o risposte infiammatorie.

Insomma, un segnale positivo per la sicurezza del dispositivo. Il prossimo passo sarà testare i prototipi in modelli artificiali che simulano il sistema circolatorio umano, e successivamente in modelli animali, per valutare ulteriormente la fattibilità clinica dell’apparecchio.

Oltre i difetti cardiaci, altre possibili applicazioni 

L’innovazione rappresentata dallo shunt espandibile potrebbe avere applicazioni che vanno oltre i difetti cardiaci congeniti. «I chirurghi potrebbero, ad esempio, usare tubi simili per sostituire i vasi sanguigni nei bambini feriti in un incidente d’auto».

Questo tipo di tecnologia sarebbe utile anche in chirurgia ortopedica, per stabilizzare fratture ossee o per gestire impianti ortopedici che necessitano di adattamenti nel tempo.

Cosa che potrebbe facilitare la cura di fratture o deformità scheletriche nei bambini.

In campo urologico, i tubi espandibili potrebbero trattare stenosi o restringimenti degli ureteri, permettendo un drenaggio efficace e personalizzabile. Inoltre, potrebbero trovare applicazione nella neurochirurgia per gestire fluidi cerebrospinali o altre condizioni che richiedono un dispositivo in grado di adattarsi alla crescita del paziente.

La tecnologia potrebbe anche essere impiegata in situazioni di emergenza come soluzione temporanea fino a quando non si possa procedere con trattamenti definitivi. Infine, la capacità di adattare le dimensioni dei dispositivi con precisione tramite luce potrebbe essere sfruttata per creare protesi personalizzabili che migliorano il comfort e l’efficacia durante la crescita del paziente.

Fonti

American Chemical Society (ACS) Fall 2024 Meeting

Drexel University, Dipartimento di Ingegneria BiomedicaChristopher Rodell, Ph.D., Drexel University