Rifiuti in mare: ogni minuto se ne riversa l’equivalente di un camion. La quantità maggiore consiste in plastica. La piaga dei rifiuti in mare è una delle questioni irrisolte del nostro tempo. Su questo tema i governi del mondo si stanno impegnando con risoluzioni; attraverso gli accordi internazionali puntano all’azzeramento di questo disastro ambientale che si consuma ogni giorno nel silenzio.
Si stima che ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscano in mare. Di queste, 53mila tonnellate vanno a finire nelle acque del Mar Mediterraneo: il risultato è che la maggior parte di essi si riversa poi sulle coste, con il rischio di compromettere anche l’ecosistema litoraneo locale. Il Mediterraneo è infatti un mare chiuso e l’alternativa al deposito sulla costa è l’ingestione da parte degli esseri viventi che lo popolano.
Rifiuti in mare, i rischi per la salute
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Nel 2050 rischieremo di avere in mare più plastica che pesci. Un problema che non riguarda soltanto l’ambiente, ma anche la salute. Perché infatti i rifiuti possono finire anche nella nostra catena alimentare, attraverso pesci e altri prodotti del mare. Oppure le sostanze nocive contenute nel mare possono risultare tossiche per la nostra pelle ed il resto del corpo.
Ecco quindi che la tutela ambientale si traduce, oltre che in dovere, anche in diritto. Un diritto alla salute. L’Osservatorio Vittime del Dovere ed il suo presidente, l’avv. Ezio Bonanni, credono fermamente in questi principi. Per questo hanno creato questo giornale, organo informativo dell’associazione a disposizione di tutti. L’Osservatorio offre consulenza gratuita sui temi della salute attraverso il suo team di volontari.
Plastica nel Mediterraneo: la piaga dell’usa e getta
Com’è la situazione nel Mar Mediterraneo? Alle porte di casa nostra la situazione è di 570 mila tonnellate di plastica in mare ogni anno, con 134 specie animali come vittime dirette di questo inquinamento.
E dal mare i rifiuti arrivano direttamente sulle spiagge, oppure restano depositati dopo il passaggio dell’uomo. Ogni anno sul litorale italiano vengono recuperate tonnellate di rifiuti. Questo grazie alle iniziative dei volontari e dei cittadini che si impegnano a mantenere pulito l’ambiente dopo averlo frequentato.
Per fare un esempio, Beach Litter è il nome della campagna che annualmente Legambiente promuove per censire i rifiuti in angoli di litorale e sensibilizzare i cittadini. Nell’indagine 2022 la plastica usa e getta è stato il genere di rifiuto più rappresentato (ben il 46%); ben più alto il numero di rifiuti in plastica genericamente intesa: l’86% di 44.882 rifiuti censiti, con tappi e anelli delle bottiglie, cotton fioc, cannucce, contenitori per alimenti, persino agitatori per cocktail. Il risultato è stato di una media di 8 rifiuti ad ogni passo.
Anche l’Arpa negli anni scorsi aveva riscontrato una situazione negativa, con 700 rifiuti ogni cento metri; i dati sono relativi al triennio 2015-2017.
In che modo arrivano i rifiuti in mare?
Per rispondere alla domanda su come arrivano i rifiuti in mare, è necessario capire di quale tipo parliamo. Se per esempio ci riferiamo a sostanze nocive, esse possono arrivare in gran parte da sversamenti abusivi, oppure dagli scarichi industriali che non sono a norma.
Per quanto riguarda la plastica, essa può arrivare davvero in qualsiasi modo. Può arrivare infatti dagli innumerevoli oggetti che restano dispersi nell’ambiente e sulle spiagge: tappi di bottiglia, buste, attrezzature da pesca abbandonate, confezioni di ogni genere, tutti rifiuti deteriorabili con il trascorrere del tempo e per effetto delle intemperie; persino le fibre di plastica provenienti dalle nostre lavatrici riescono a raggiungere l’acqua.
E tutto è potenzialmente dannoso per l’ambiente e per gli animali, che rischiano la vita e muoiono a migliaia per colpa dei rifiuti abbandonati o sversati. Gli animali marini possono infatti restare intrappolati nelle vecchie reti da pesca, oppure restare soffocati dalle buste di plastica che ingeriscono o che si attorcigliano attorno ai loro corpi senza lasciare loro scampo.
L’Agenda Onu 2030 e lo sviluppo sostenibile
Le Nazioni Unite si sono date come obiettivo lo sviluppo sostenibile e la pulizia dei mari dalla plastica. L’obiettivo 14.1 dell’Agenda Onu 2030, sottolinea che entro il 2025 è necessario “prevenire e ridurre in modo significativo ogni forma di inquinamento marino, in particolar modo quello derivante da attività esercitate sulla terraferma, compreso l’inquinamento dei detriti marini e delle sostanze nutritive“.
L’Europa ha attuato la propria strategia con la direttiva 2008/56/CE (direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino) che istituisce un quadro per l’azione comunitaria al fine di definire le strategie per un approccio ecosistemico alla gestione delle attività umane nell’ambiente marino, in modo che “la pressione
collettiva di tali attività sia mantenuta entro livelli compatibili con il conseguimento di un buono stato ecologico e che la capacità degli ecosistemi marini di reagire ai cambiamenti indotti dall’uomo non sia
compromessa“. L’Italia ha recepito questa direttiva, ispirandosi ai suoi principi, con il decreto legislativo 190/2010.
La legge Salvamare, l’Italia colma un paradosso
Nei mesi scorsi, dopo un lungo iter parlamentare, ha visto finalmente la luce la cosiddetta Legge Salvamare. I pescatori, infatti, fino a prima dell’approvazione di questa norma, non potevano recuperare i rifiuti in mare perché potevano essere accusati di trasporto illecito di rifiuti.
Un paradosso del sistema normativo italiano che è stato recentemente colmato proprio dalla legge che tutela le acque interne dai rifiuti galleggianti e che rappresenta un’arma in più contro l’inquinamento, facendo leva sul senso di responsabilità di chi vive il mare per passione e per lavoro.
Amianto tra i rifiuti in mare, in Italia diversi casi
Spesso in Italia si sono verificati pericolosi ritrovamenti di amianto in spiaggia. Negli anni sulle pagine di cronaca abbiamo letto di rinvenimenti nelle spiagge di Travello (Trelo) e di San Michele di Pagana, tratti di litorale che fanno parte del territorio comunale di Rapallo, in provincia di Genova. Probabilmente questi frammenti provenivano da vecchie tubature in eternit. Prima della sua messa al bando con la Legge 257/1992, infatti, l’amianto (asbesto) era usato anche nelle tubature dell’acqua: anche in provincia di Modena ce ne sono ancora, se ne è parlato in un recente convegno dell’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto in Emilia Romagna. Era usato inoltre negli edifici come cemento da costruzione e nel settore militare e dei trasporti (es. sulle navi della Marina militare e nelle ferrovie).
Ritrovamenti di amianto sulle spiagge sono stati fatti anche a Poveromo, in provincia di Massa Carrara, in Toscana, al confine con la Liguria. E nel 2017 a Viareggio anche un eclatante ritrovamento: 50 quintali di eternit, tra cui anche tegole spezzate e rovinate dalle intemperie, pericolosissimi per la salute.
Il caso più recente, lo scorso aprile 2022, in Sardegna, nel tratto cagliaritano della spiaggia del Poetto. Dieci chili di detriti di amianto sono affiorati dalla spiaggia, che è stata poi bonificata.
La pericolosità dell’amianto, detto la fibra killer
La caratteristica cancerogena dell’amianto, la cosiddetta fibra killer per la mortalità legata alle malattie da essa causate, è riconosciuta a livello mondiale. Lo conferma la IARC (International Agency Reasearch on Cancer) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in una specifica monografia.
La bonifica dei luoghi contaminati è l’unico strumento di prevenzione capace di eliminare alla radice il problema e di evitare che l’amianto provochi di danni alla salute. Sono tantissime le malattie asbesto correlate: asbestosi polmonare, le placche e l’ispessimento pleurico; tumori come quello del polmone, allo stomaco, alla laringe e alla faringe, il cancro alle ovaie, al colon retto, all’esofago e allo stomaco; e poi c’è il mesotelioma, la più aggressiva delle neoplasie legate all’amianto e che può colpire varie parti del corpo: pleura, tunica vaginale del testicolo, pericardio e peritoneo.
La consulenza gratuita dell’Osservatorio Vittime del Dovere
L’Osservatorio Vittime del Dovere non fa soltanto divulgazione attraverso il suo organo informativo. Si occupa anche di offrire consulenza gratuita a quanti lo richiedano. Spesso infatti quando si ha una diagnosi, si resta disorientati e si è bisognosi anche di chiarimenti e informazioni; non soltanto in tema di salute, perché in questo senso molto importante è il Sistema sanitario nazionale, ma anche anche su come è possibile farsi riconoscere i propri diritti.
La missione dell’Osservatorio, con il suo presidente avv. Ezio Bonanni, è tutelare l’ambiente spingendo sulle bonifiche dove non già eseguite, e puntando sulla prevenzione. Attraverso queste pratiche è possibile anche tutelare la salute delle persone.
Se hai bisogno di maggiori informazioni, di una consulenza tecnica e legale gratuita, puoi contattare l’Osservatorio Vittime del Dovere. Non esitare. Hai a disposizione il numero verde 800.034.294 e l’applicazione di whatsapp, nonché il form nella pagina per essere ricontattato.