Il Rapporto Istat 2023, presentato nei giorni scorsi a Palazzo Montecitorio dal presidente dell’Istituto, Francesco Maria Chelli, mostra un Paese caratterizzato da situazioni contrastanti. Nell’Italia dei grandi anziani, l’occupazione giovanile è in sofferenza, il povero resta tale, la spesa per l’istruzione è sotto la media UE. Chelli propone, pertanto, di investire sul benessere dei giovani per compensare l’insufficiente ricambio generazionale con una loro maggiore valorizzazione.
«Terminato nel primo trimestre 2022 lo stato di emergenza sanitaria nazionale, nel corso dell’anno sono emersi nuovi elementi di criticità», ha detto Chelli. «Il rincaro dei prezzi dell’energia e delle materie prime, accentuato dal conflitto in Ucraina, ha condizionato l’evoluzione dell’economia, con rilevanti aumenti dei costi di produzione per le imprese e dei prezzi al consumo per le famiglie. Nonostante l’attenuarsi della fase più critica della crisi energetica, nel primo trimestre 2023, l’andamento dell’inflazione condizionerà l’evoluzione dei consumi e dei salari reali nel prossimo futuro».
Italia, il paese dei grandi anziani
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Sul fronte demografico, gli effetti dell’invecchiamento della popolazione si fanno sempre più evidenti. «Gli scenari demografici delineati all’interno del Rapporto Istat 2023 prevedono un consistente aumento dei cosiddetti “grandi anziani”. Nel 2041, la popolazione ultraottantenne supererà̀ i 6 milioni; quella degli ultranovantenni arriverà addirittura a 1,4 milioni».
Sul calo delle nascite registrato nel 2022 rispetto al 2019, il Rapporto evidenzia che le 27mila nascite in meno sono dovute, per l’80%,al cosiddetto “effetto struttura”. «Ovvero alla diminuzione delle donne tra 15 e 49 anni di età e per il restante 20% al calo della fecondità. L’invecchiamento è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni, con effetti negativi sul tasso di crescita del Pil pro capite».
Quali potrebbero le soluzioni? Secondo il presidente dell’Istat, «investendo sul benessere delle nuove generazioni, si può fare in modo che l’insufficiente ricambio generazionale sia in parte compensato dalla loro maggiore valorizzazione».
Benessere dei giovani, indicatori più bassi d’Europa
In Italia, gli indicatori che riguardano il benessere dei giovani sono i più bassi d’Europa. Le grandi risorse finanziarie, stanziate per uscire dalla crisi, dovrebbero supportare investimenti per rafforzare il benessere dei giovani, iniziando dai primi anni di vita.
È consolante leggere nel Rapporto che il tasso di occupazione di 15-64enni «è salito nel 2022 al 60,1%. Si è, così, collocato al di sopra di quello osservato nel 2019. Si registra, inoltre, un forte calo del numero di persone in cerca d’occupazione rispetto all’anno precedente. Il numero di inattivi di età compresa tra i 15 e i 64 anni, ridottosi già nel corso del 2021, è calato ancora. Oggi risulta sotto il livello pre-crisi. Per quanto riguarda l’occupazione giovanile (25-34 anni), risultano occupati nel 2022 quasi 8 giovani su 10 nel Centro-Nord a fronte dei 5 circa nel Mezzogiorno».
Prestazioni sociali alle famiglie, Italia fanalino di coda
Il Rapporto rileva, inoltre, un dato molto importante. Solo lo scorso anno, infatti, «quasi un giovane su due mostrava almeno un segnale di deprivazione in uno dei domini chiave del benessere». Ovvero, Istruzione e Lavoro, Coesione sociale, Salute, Benessere soggettivo, Territorio. «Di questi giovani oltre 1,6 milioni (pari al 15,5 per cento dei 18-34enni), sono multi-deprivati, mostrano, cioè, segnali di deprivazione in almeno 2 domini. I livelli di deprivazione e multi-deprivazione sono sistematicamente più alti nella fascia di età 25-34 anni, che risulta la più vulnerabile».
Infine, siamo fanalino di coda per le prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori. L’Italia spende una quota rispetto al Pil «molto esigua, pari all’1,2% a fronte del 2,5% della Francia e del 3,7% della Germania».