Le malattie autoimmuni, un gruppo eterogeneo di patologie in cui il sistema immunitario perde la capacità di distinguere tra tessuti sani e invasori, affliggono milioni di persone in tutto il mondo. 

Ad essere più colpite le donne. Come mai? Sotto indagine il cromosoma XY e gli ormoni femminili 

Malattie autoimmuni e disparità di genere

Malattie autoimmuni: il lupus colpisce nove donne su dieci, rispetto agli uomini

Uno degli aspetti più sorprendenti delle malattie autoimmuni è la disparità di genere che caratterizza la loro incidenza. Tra coloro che ne sono affetti, quattro su cinque sono donne. Questa differenza non è casuale e costituisce uno dei misteri più affascinanti della medicina. Malattie come l’artrite reumatoide, la sclerosi multipla e la sclerodermia mostrano un chiaro sbilanciamento tra i sessi. Il lupus, ad esempio, colpisce nove donne su dieci rispetto agli uomini, mentre per la sindrome di Sjogren il rapporto è ancora più sbilanciato, con ben diciannove donne colpite per ogni uomo.

Focus sul cromosoma XY 

Recenti studi condotti dal Centro Medico dell’Università di Stanford (California), hanno cercato di spiegare l’enigma. Gli scienziati si sono concentrati sul cromosoma XY, il determinante genetico che caratterizza il sesso maschile. Le indagini hanno rivelato che la presenza del cromosoma XY conferisce una certa protezione contro lo sviluppo di malattie autoimmuni.

Tuttavia, questo non spiega completamente il motivo per cui le donne sono più suscettibili. Gli esperti suggeriscono che ciò potrebbe essere dovuto a una combinazione complessa di fattori genetici ed ormonali.

Le fluttuazioni ormonali, tipiche del ciclo mestruale, della gravidanza e della menopausa, potrebbero infatti contribuire all’incremento del rischio nelle donne. Gli estrogeni, ad esempio, potrebbero avere un effetto stimolante sul sistema immunitario, aumentando la probabilità di un’errata risposta autoimmune.

«Come medico praticante, vedo molti pazienti affetti da lupus e sclerodermia, perché questi disturbi autoimmuni si manifestano nella pelle».

Ad affermarlo, Howard Chang, professore di dermatologia e genetica e ricercatore dell’Howard Hughes Medical Institute del Maryland. «La grande maggioranza di questi pazienti sono donne».

Ma veniamo al mistero della seconda X.

La seconda X sito indagine: la chiave delle malattie autoimmuni

Malattie autoimmuni: il cromosoma X al vaglio delle indagini genetiche

Il cromosoma X è un elemento chiave nella determinazione del nostro sesso biologico.

Le donne, con il loro doppio cromosoma X, sembrano possedere un dono genetico che li distingue nel regno animale. Mentre gli uomini portano con sé un cromosoma X e uno Y, il cromosoma Y contiene solo una manciata di geni attivi. Ma il vero enigma giace nella doppia presenza del cromosoma X nelle donne, una situazione che potrebbe portare a una sovrapproduzione catastrofica di proteine vitali per la nostra esistenza.

La natura, in tutto il suo ingegno, ha escogitato una soluzione intrigante nota come “inattivazione del cromosoma X“. 

Nelle prime fasi dello sviluppo embrionale, ogni cellula femminile prende una decisione cruciale: silenziare l’attività di uno dei due cromosomi X. Questa decisione, quasi come un segreto genetico trasmesso attraverso le generazioni, assicura che ogni cellula femminile produca la stessa quantità di proteine specificate dal cromosoma X, evitando una sovrapproduzione letale.

Tuttavia, dietro questo stratagemma genetico si nasconde un mistero ancora più profondo. Gli studiosi hanno scoperto che l’inattivazione del cromosoma X potrebbe essere legata a disturbi autoimmuni.

Il colpo di scena, tuttavia, sta nel fatto che questi disturbi autoimmuni non sono unicamente un affare femminile. Gli uomini, apparentemente privi della complessità della doppia X, possono comunque svilupparli. 

Il pareggio genetico: alla scoperta del mistero di Xist

E qui entra in gioco una molecola misteriosa chiamata Xist.

Proveniente dal gene omonimo presente su tutti i cromosomi X, Xist è il “maestro delle cerimonie” dell’inattivazione del cromosoma X. Ma c’è un dettaglio affascinante: Xist entra in azione solo quando c’è una coppia XX, ovvero due cromosomi X accoppiati. Inizia così il grande pareggio genetico, un processo sofisticato in cui Xist produce RNA, un messaggero che va oltre la sua apparente semplicità.

Questo RNA, conosciuto come lncRNA (lungo non codificante), si rivela essere molto più di un semplice informatore genetico. Xist, in particolare, è un lncRNA straordinariamente lungo che si adagia su uno dei due cromosomi X di una cellula femminile, annullandone la produzione o riducendola quasi a zero. Nel frattempo, l’altro cromosoma X continua la sua opera, garantendo che la cellula funzioni senza intoppi.

Tuttavia, la presenza di Xist può dare origine a intricati intrecci di lncRNA, proteine, e DNA. 

Un complesso mondo di interazioni che, secondo gli scienziati guidati da Chang, potrebbe essere il catalizzatore di una potente risposta immunitaria. 

Nel 2015, il team aveva identificato quasi cento proteine coinvolte con Xist, proteine che, sorprendentemente, erano associate a disturbi autoimmuni.

L’elenco dettagliato di questi complicati legami proteici ha portato Chang a formulare una domanda che potrebbe risolvere il mistero dell’incredibile disparità di autoimmunità tra uomini e donne. 

Sarebbero i complessi RNA-proteina-DNA generati durante l’inattivazione del cromosoma X a essere responsabili del tasso notevolmente più alto di malattie autoimmuni nelle donne? 

E se i maschi creassero Xist?

Nel corso dell’indagine genetica, i ricercatori hanno deciso di portare la molecola Xist al centro dei loro studi, inserendo il gene Xist nei genomi di topi maschi di due ceppi differenti.

Un’impresa audace per eliminare ogni dubbio riguardo all’influenza degli ormoni femminili o a potenziali produzioni anomale di proteine dal secondo cromosoma X, comunemente ritenuto silenziato.

Ebbene, uno di questi ceppi mostrava una sensibilità maggiore ai sintomi autoimmuni, simili a quelli del lupus, soprattutto nelle femmine. L’altro ceppo, al contrario, dimostrava una resistenza sorprendente.

Il gene Xist inserito è stato sottoposto a una doppia modifica. Prima di tutto, poteva essere attivato o disattivato con l’ausilio di sostanze chimiche, dando agli scienziati il controllo totale sulla produzione di Xist. In secondo luogo, il gene Xist è stato leggermente alterato, in modo che l’RNA da esso prodotto non silenziasse più i geni del cromosoma maschile in cui era stato inserito.

L’inserimento del gene Xist modificato non ha avuto impatti immediati sui topi, ma una volta attivato, ha formato complessi intriganti con le stesse proteine che erano state precedentemente identificate come collaboratrici di Xist.

Effetto della manipolazione genetica 

Qual è stato l’effetto di questa manipolazione genetica? Un topo maschio bioingegnerizzato, indotto a produrre Xist, sarebbe più incline all’autoimmunità rispetto a un topo maschio normale o a uno in cui il gene per Xist era stato inserito ma non attivato?

Gli scienziati, hanno iniettato una sostanza irritante conosciuta per indurre una condizione autoimmune simile al lupus nei topi sensibili. Cosa è successo dopo il  confronto tra gli effetti su maschi che hanno prodotto Xist e maschi normali, che non ne hanno prodotto?

L’attivazione del gene Xist ha portato a un’autoimmunità simile al lupus nei maschi, avvicinandosi addirittura al tasso riscontrato nelle femmine e superando di gran lunga i maschi non bioingegnerizzati.

L’assenza di autoimmunità in alcuni topi, sia femmine sia maschi, bioingegnerizzati con Xist nel ceppo sensibile, ha sollevato l’ipotesi che non solo l’attivazione di Xist, ma anche uno stress dannoso per i tessuti, fosse necessario per innescare l’autoimmunità.

Questi sottili equilibri nell’autoimmunità, fortunatamente, gettano luce su un’insolita realtà. Se non fossero presenti questi vincoli, tutte le donne potrebbero essere più suscettibili allo sviluppo delle malattie autoimmuni, osserva Chang, il capo degli investigatori, dando un colpo di scena a questo avvincente capitolo della nostra ricerca genetica.

Screening dell’autoimmunità

Nel fitto bosco delle indagini genetiche, il cammino verso un pannello di screening dell’autoimmunità più avanzato si fa sempre più intricato e avvincente. Attraverso un meticoloso esame dei campioni di sangue provenienti da circa cento pazienti affetti da malattie autoimmuni, è emerso un collegamento intrigante.

La presenza di autoanticorpi contro numerosi complessi associati a Xist. 

In particolare, gli anticorpi antinucleari, che si dirigono al cuore stesso delle nostre cellule, sono i protagonisti di questa caccia agli indizi.

Essi potrebbero fungere da sentinelle molecolari, individuando in anticipo la comparsa di specifiche malattie autoimmuni prima ancora che i sintomi si manifestino.

Non solo, ma gli autoanticorpi diretti verso altre proteine associate a Xist hanno abbracciato un ventaglio di disturbi autoimmuni diversi, emergendo come possibili marcatori comuni dell’autoimmunità. Questo rappresenta un passo avanti nella comprensione delle malattie autoimmuni e apre la strada a un pannello di screening più sofisticato e personalizzato, capace di rilevare le prime tracce di un’autoimmunità in evoluzione.

«Ogni cellula del corpo di una donna produce Xist“, precisa Chang. “Ma per diversi decenni abbiamo utilizzato una linea cellulare maschile come standard di riferimento. Quella linea cellulare maschile non ha prodotto né Xist né complessi Xist/proteina/DNA, né da allora sono state utilizzate altre cellule per il test. Quindi, tutte gli anticorpi anti-Xist-complesso di una paziente, un’enorme fonte di suscettibilità autoimmune delle donne, passano inosservati».

Prospettive future sulle malattie autoimmuni

L’approfondimento su come il cromosoma XY influenzi la suscettibilità alle malattie autoimmuni potrebbe rappresentare un punto di svolta nella ricerca medica. Comprendere meglio i meccanismi che determinano questa disparità di genere potrebbe aprire la strada a nuove strategie di prevenzione e trattamento.

Fonti

Diana Dou et al, Xist ribonucleoproteins Promuovere l’autoimmunità di parte del sesso femminile, Cell (2024). DOI

Materiale fornito dal Centro medico dell’Università di Stanford