L’articolazione della caviglia, spesso sottovalutata rispetto ad altre, come l’anca o il ginocchio, può diventare fonte di dolori debilitanti, limitando la mobilità e influenzando drasticamente la qualità della vita. Spesso colpita da artrosi secondaria a traumi o a patologie infiammatorie, la caviglia può richiedere una soluzione definitiva: la protesi. Grazie all’innovazione tecnologica e ai progressi in campo medico, la sostituzione protesica della caviglia è oggi una realtà consolidata, con interventi sempre più mirati e meno invasivi
Quando la caviglia soffre: traumi e artrosi secondaria
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Diversamente da altre articolazioni, come l’anca o il ginocchio, l’artrosi della caviglia è raramente di natura degenerativa. Come spiega il dottor Gianluca Falcone, responsabile del CIPEC del Policlinico Gemelli, nell’80% dei casi, l’artrosi alla caviglia è il risultato di traumi pregressi.
Tra i principali, fratture malleolari o distorsioni ripetute, che causano instabilità e deformità articolare.
In particolare, fratture mal consolidate o interventi chirurgici non riusciti possono alterarne l’anatomia, favorendo il deterioramento della cartilagine e la comparsa di dolore cronico, gonfiore e zoppia.
Anche le patologie infiammatorie reumatiche, come l’artrite reumatoide e l’artrite psoriasica, possono portare alla necessità di una protesi di caviglia. Queste condizioni colpiscono l’articolazione con un’infiammazione cronica che progressivamente danneggia i tessuti.
La diagnosi: precisione e imaging
Per una corretta diagnosi, è fondamentale rivolgersi a uno specialista ortopedico.
Secondo Falcone, oltre alla visita clinica, sono fondamentali le radiografie comparative sotto carico. Queste permettono infatti di valutare in modo accurato l’entità del danno osseo. La risonanza magnetica, spesso utilizzata per altre articolazioni, non è sufficiente nel caso dell’artrosi di caviglia, poiché non fornisce un’immagine chiara delle alterazioni ossee. Nei casi più complessi, una TAC può essere utile per una definizione ancora più dettagliata.
Trattamenti iniziali e intervento chirurgico
Inizialmente, il trattamento dell’artrosi di caviglia si basa su terapie conservative, simili a quelle utilizzate per altre articolazioni. Queste includono farmaci anti-dolorifici, ortesi come plantari e cavigliere, e infiltrazioni con cortisonici o terapie biologiche come l’acido ialuronico e il PRP (plasma ricco di piastrine). Tuttavia, come spiega il professor Ezio Adriani, «se dopo sei mesi di trattamento conservativo non si osservano miglioramenti, è indicato valutare l’intervento chirurgico di protesizzazione ».
Negli ultimi anni, l’intervento di protesi alla caviglia ha registrato un crescente successo grazie ai significativi progressi nelle tecniche chirurgiche e all’introduzione di materiali più sofisticati e biocompatibili. Le protesi di ultima generazione, conosciute come protesi di “resurfacing”, consentono di risparmiare maggiormente l’osso e intervenire esclusivamente sulla superficie articolare danneggiata. Questo approccio conserva la struttura ossea sottostante e riduce l’invasività dell’operazione, offrendo benefici sia in termini di recupero funzionale sia di durata dell’impianto. Come funzionano?
Il resurfacing
Le protesi di “resurfacing” sono progettate per adattarsi alla specifica anatomia del paziente e minimizzare le complicazioni post-operatorie.
Tutte procedure che preservano al massimo i tessuti circostanti e migliorando la stabilità articolare. Realizzate in materiali avanzati come leghe di titanio e polimeri ad alta resistenza, presentano un’ottima capacità di integrazione con l’osso naturale e una maggiore resistenza all’usura.
Il che riduce il rischio di revisioni chirurgiche nel tempo.
L’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, come la navigazione chirurgica computer-assistita e la pianificazione pre-operatoria con imaging 3D, consente ai chirurghi di effettuare interventi sempre più precisi e personalizzati, migliorando l’allineamento dell’articolazione e ottimizzando i risultati a lungo termine.
Il ruolo della riabilitazione post-operatoria
Dopo l’intervento, la riabilitazione svolge un ruolo fondamentale nel recupero. Se l’intervento si limita alla protesizzazione, il paziente può iniziare a muovere la caviglia e caricare il peso fin da subito. In caso di interventi più complessi, come la ricostruzione dei legamenti o osteotomie, sarà necessario attendere circa un mese prima di poter caricare la caviglia. Successivamente, il paziente dovrà seguire un percorso di fisioterapia di due o tre mesi per ritornare gradualmente alle attività quotidiane, mentre per riprendere l’attività sportiva saranno necessari circa sei mesi.
Il futuro: protesi sempre più avanzate e chirurgia assistita
Le tecniche chirurgiche per la protesizzazione della caviglia stanno evolvendo rapidamente, grazie all’utilizzo di materiali sempre più sofisticati e all’integrazione di tecnologie innovative come la robotica e l’intelligenza artificiale. «A breve – conclude il professor Adriani – potremo avvalerci della chirurgia assistita da robot per migliorare ulteriormente la precisione e i risultati degli interventi».