Le ‘notti bianche’ sono un problema comune a milioni di persone nel mondo e possono essere aggravate dalla copresenza di possibili disturbi psichiatrici o psicoemotivi. L’insonnia, infatti, può essere causa ed effetto di alcune malattie mentali, come ansia, depressione e disturbo bipolare. Poiché condividono meccanismi patogenetici simili, in alcuni casi è possibile contrastarli con un’unica strategia terapeutica. O anche con un unico farmaco antagonista in grado di agire sull’orexina (daridorexant), uno dei principali neurotrasmettitori che agisce sul sonno.
Tuttavia, l’aggiunta di un antagonista a un trattamento in corso, o il passaggio da un farmaco a un altro, può avere delle conseguenze. Per questo motivo, i cambiamenti terapeutici devono essere graduali e seguire specifici accorgimenti.
La creazione del primo documento di consensus sull’insonnia
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La Società Italiana di Neuropsicofarmacologia (Sinpf) si è fatta promotrice di una iniziativa che ha coinvolto specialisti in neuropsicofarmacologia. Non solo, la Sinpf ha coinvolto anche specialisti in medicina del sonno, nazionali e internazionali. L’obiettivo della società è la creazione del primo documento di consensus sull’argomento in Italia ed Europa che punta ad aiutare il clinico nella pratica quotidiana.
Il documento si basa sui dati aggiornati della letteratura per fornire indicazioni importanti su come ridurre, modificare e cambiare i farmaci per l’insonnia quando è necessario. Sarà pubblicato a breve sulla rivista Sleep Medicine.
Sonnolenza e iperattività tra le conseguenze più evidenti
Si definisce insonnia l’insoddisfazione per la quantità o la qualità del sonno, associata alla difficoltà nell’iniziare e mantenere il sonno da almeno 3 mesi. Pertanto esso «risulta perturbato da frequenti risvegli o da problemi di riaddormentamento dopo i risvegli, con un conseguente impatto sulle ore diurne». Così Claudio Mencacci, direttore emerito di psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli di Milano e co-presidente Sinpf. «Sonnolenza, iperattività e un generale peggioramento della qualità della vita sono le conseguenze più evidenti. Oltre un terzo della popolazione mondiale è colpita da insonnia e/o da disturbi del sonno, il 20% in Italia, in molti casi in forma cronica. Presentano sintomi persistenti nell’80% dei casi dopo un anno dalla diagnosi e nel 60% dei casi a 5 anni», conclude Mencacci.
L’insonnia può essere un sintomo e un precursore
Molti disturbi del sonno, in particolare l’insonnia, si presentano frequentemente in comorbilità con ansia, depressione e disturbo bipolare. «Instaurano, così, una relazione bidirezionale che amplifica la sofferenza del paziente». Lo afferma Matteo Balestrieri, già Ordinario di Psichiatria all’Università di Udine e co-presidente della SINPF. «L’insonnia non è solo un sintomo, ma può anche agire come un precursore o fattore scatenante di disturbi psichiatrici. Studi clinici hanno evidenziato che l’insorgenza di insonnia aumenta significativamente il rischio di sviluppare, nel breve termine, condizioni come depressione maggiore o disturbi d’ansia. Questo – specifica Balestrieri – la rende un fattore predittivo e perciò importante campanello d’allarme in ambito clinico».
Come migliorare la qualità del sonno
Alcune tecniche possono non solo migliorare la qualità del sonno, ma anche influenzare positivamente l’andamento e la prognosi dei disturbi mentali associati. Tra le tecniche, sono risultate efficaci: la terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia; le modifiche dello stile di vita; gli interventi farmacologici mirati. Ovvero i DORA, le BDZ e le Z-drugs.
«Integrare il trattamento dei disturbi del sonno nei piani terapeutici di pazienti con disturbi psichiatrici – sottolineano Mencacci e Balestrieri – può quindi offrire un beneficio bidirezionale. Ossia, migliorando il benessere complessivo e riducendo il rischio di ricadute o cronicizzazione della malattia mentale».
Trattare l’insonnia con un farmaco regolatore dell’orexina
Di recente, le linee guida europee hanno suggerito come farmaco di prima scelta un antagonista in grado di agire sull’orexina: il daridorexant.
«Il trattamento dell’insonnia con un farmaco regolatore dell’orexina potrebbe avere un ruolo importante anche in psicopatologia». È quanto dichiara Laura Palagini, psichiatra e responsabile dell’ambulatorio per il trattamento dei disturbi del sonno dell’AUO di Pisa. «Per questo sono stati condotti alcuni studi naturalistici in pazienti con disturbi d’ansia, depressivi bipolari e unipolari, e in pazienti con disturbo da uso di ipnotici-sedativi. È stato dimostrato che l’uso di daridorexant può migliorare i sintomi di insonnia e anche d’ansia e dell’umore. Permettendo la riduzione dei farmaci ipnotico sedativi».
Sospendere i farmaci ipnotico-sedativi solo con accorgimenti
L’insonnia ha un andamento cronico. Per questo gli esperti si sono posti il problema nella pratica clinica di come lasciare un precedente trattamento. Oppure di come fare lo ‘switch’, il cambio cioè, tra una terapia e l’altra, o, infine, come combinare i farmaci attualmente consigliati per il trattamento dell’insonnia.
«La sospensione di farmaci ipnotico-sedativi richiede specifici accorgimenti – spiega Palagini – e una riduzione graduale. Ciò in associazione con terapie cognitive (CBT_I), con altre recenti terapie farmacologiche (farmaci come i DORA, o gli agonisti della melatonina o i modulatori del gaba). Questo può aiutare il clinico e il paziente nei processi di cura e regolarizzazione di un buon sonno».
Sono, dunque, necessarie indicazioni chiare e puntuali. È quello che esattamente intende fornire il nuovo documento di consensus.