Infarto

Per infarto e ictus in Italia potremmo tornare a livelli di mortalità simili a quelli di 20 anni fa. È il grido di allarme lanciato dalla Società italiana di cardiologia (SIC). Durante la quarta ondata del Covid la società ha condotto un’indagine su 45 ospedali, focalizzando l’attenzione sul settore cardiologico delle strutture.

Il periodo di riferimento è compreso tra novembre 2021 e gennaio 2022. I risultati sono preoccupanti: il 68% delle strutture ha tagliato ricoveri e interventi; la metà ha ridotto gli esami diagnostici ed il 45% ha diminuito il numero di visite ambulatoriali.

Infarto, mortalità triplicata già nel 2020

Il quadro che emerge è di una assistenza ridotta ai minimi termini. Ha influito l’urgenza di recuperare posti ospedalieri per i ricoveri per coronavirus: il 22% delle Utic (terapia intensiva cardiologica) ha dovuto ridurre i letti.

Ridotti interventi come angioplastiche coronariche, ablazioni, impianto di pacemaker e defibrillatori, impianto percutaneo delle valvole cardiache; diminuiti esami diagnostici come ecocardiografie, elettrocardiogrammi e test sotto sforzo. A ciò si aggiunge che spesso i pazienti arrivano in ospedale già in gravi condizioni: per paura del contagio, tardano a chiamare i soccorsi. Una tendenza già rilevata nel precedente studio nel 2020: la mortalità registrata per infarto era triplicata rispetto all’anno precedente (dal 4,1% era passata al 13,7).

La situazione rischia peraltro di aggravarsi: i guariti covid infatti hanno una probabilità maggiore di sviluppare disturbi cardiovascolari. Uno studio su Nature Medicine condotto su 150mila pazienti ex covid, ha evidenziato il +72% per rischio scompenso cardiaco e +52% di probabile ictus. Casi confrontati con più di 5 milioni di controlli sani, che si confermano anche in assenza di diabete e obesità e con età inferiore ai 65 anni.

Alla ridotta assistenza, bisogna sommare il progressivo aumento di fattori di rischio legati allo stile di vita: fumo di sigaretta (un milione in più di italiani), aumento di peso (+44%), consumo di alcol (+23,6% uomini e + 9,7% donne).

I cardiologi: “Invertire la tendenza”

La SIC chiede una inversione di rotta, “se non vogliamo perdere il vantaggio straordinario ottenuto in cardiologia in questi ultime tre decadi” – ha detto il presidente Ciro Indolfi, ordinario di cardiologia all’Università Magna Graecia di Catanzaro. “Siamo in un momento in cui – ha spiegato – a una minore prevenzione e terapia delle malattie cardiovascolari si associa un maggiore rischio proprio di queste malattie nei pazienti guariti dal Covid. Tutto ciò dovrà essere seriamente considerato nelle prossime strategie di riorganizzazione del Ssn”.

L’allarme dei cardiologi andrebbe tenuto in particolare considerazione, non soltanto per i dati relativi all’aumento di rischio nel post covid. Come riporta l’Istituto superiore di Sanità (ISS) – le malattie cardiovascolari in Italia sono infatti la principale causa di decesso (44%). Si rende evidente, dunque, il fondamentale ruolo della prevenzione, a partire una rete strutturata che consenta un rapido accesso alle cure in caso di bisogno. Screening e monitoraggio medico in modo simile a quanto dovrebbe avvenire per altre patologie, come quelle legate all’esposizione ad asbesto, causa primaria di gravi malattie e tumori come il mesotelioma pericardico.