Setti

Fulvio Setti, l’editoriale di Ruggero Alcanterini

IERI è STATO IL 25 APRILE. IN QUESTA OCCASIONE VOGLIO RICORDARE CON FULVIO SETTI, LA STRAORDINARIA FIGURA DI UN EROE, ATLETA E PILOTA, COME FRANCESCO BARACCA, MEDAGLIA D’ORO E D’ARGENTO AL VALORE MILITARE, SEMPRE SCHIERATO CON LA BANDIERA ITALIANA, PRIMA E DOPO L’ 8 SETTEMBRE. AZZURRO, AVVERSARIO DI OBERWEGER SUGLI OSTACOLI, PRESIDENTE DELLA STORICA “LA FRATELLANZA” E DEL CONI DAL 1950, A MODENA, PER BEN 27 ANNI. VALENTE IMPRENDITORE, FULVIO E’ STATO L’ESEMPIO DI COME DOVREMMO IMMAGINARE E CONSIDERARE COLORO CHE SONO STATI COPROTAGONISTI DI UNA DRAMMATICA FASE DELLA NOSTRA STORIA. L’ANIMO DI UN AGONISTA DI VAGLIA, COME ERA SETTI, SI CONIUGAVA PERFETTAMENTE CON LA LEALTA’, L’ALTRUISMO E LO SPIRITO DI SACRIFICIO. PER QUESTO CREDO CHE VALGA LA PENA DI LEGGERE IL CAPITOLO A LUI DEDICATO, NELLA STORIA DELLA “CENTENARIA” LA FRATELLANZA MODENA…

Fulvio Setti un eroe d’altri tempi

Un grande atleta, un gran uomo, capace di grandi rinunce per amore della famiglia e per quella più grande che si chiamava patria. Praticò l’atletica leggera nella Fratellanza Modena, dove si specializzò come atleta negli ostacoli, sbaragliando in pochi anni tutta la concorrenza in Italia.

Fu campione italiano di prima serie nel 1933 e venne selezionato per le olimpiadi di Berlino nel 1936, ma dovette rinunciare perché suo padre aveva bisogno di lui nell’azienda familiare, fu un segreto che custodì e rivelò solo ai suoi cari, e per evitare problemi a suo padre, finché i suoi compagni non partirono, finse di essersi fatto male ad una gamba.

Idealmente rimase con i suoi amici di gare, sognando chissà quante volte di partire via con quel treno pieno di sogni, ma rimase fedele al suo ruolo e alla sua parola fino in fondo. L’unica bizzarria che si concesse, fu di giocare tre numeri al lotto sull’episodio. Numeri che non uscirono per tutta la sua vita quasi a siglare ancora una volta il mancato coronamento del suo sogno olimpico.

Setti, un talento sui 400 ostacoli

Setti arrivò a quattordici anni alla Fratellanza Modena, dopo che era approdato per caso al salto in alto, di lì a poco si riscoprì un talento sui 400 ostacoli arrivando a battere il forte Giorgio Oberweger. Giunse fino alle semifinali nei 110 ostacoli ai campionati mondiali universitari. L’anno dopo i tecnici della federazione lo convocarono per uno stage in America dove fece alcuni meeting a Boston e a New York. Fu amato e coccolato da Piero Baraldi, il vecchio e unico tecnico per tutte le specialità dell’atletica, come si usava un tempo, della Fratellanza Modena, che lo guardava con ammirazione. Un sentimento che lo stesso Setti ricambiava verso il suo vecchio allenatore.

Vestì la maglia azzurra in un incontro Italia Svizzera, e il suo record personale sui 110 ostacoli rimase per anni nell’albo d’oro della società con 15”6/10.

Uomo dai mille impegni si sentiva debitore verso l’atletica leggera, tanto che affermava spesso che lo sport insegna a sopportare ed affrontare la vita, perché come usava dire: “Se non avessi fatto questa esperienza sono certo che non sarei mai sopravvissuto alle vicende della guerra”.

Setti al fronte durante la seconda guerra mondiale

Al fronte durante la seconda guerra mondiale rivestì la carica di ufficiale dell’aviazione, al comando di un velivolo della S.A.S. Al termine del conflitto rimase amareggiato dal fatto che si fosse ignorato così in fretta il sacrificio di tanti piloti italiani, dimenticati e caduti nell’oblio. Mentre venivano esaltate le gesta di tedeschi e americani.

Fulvio Setti si sposò nel 1939, ed allo scoppiare della guerra chiese, avendo conseguito il brevetto di pilota nel 1936, di partire.

Lo accontentarono un anno dopo: fu assegnato ai S.A.S servizi aerei speciali che trasportavano armi, viveri e feriti tra l’Italia e tutti i territori in cui erano impegnate le truppe italiane. Fu assegnato al 44° stormo. Combatté per quattro anni al comando di uno dei leggendari S82, (Savoia Marchetti). Aerei che vennero tanto denigrati dagli alleati perché fatti in alcuni parti della fusoliera di stoffa. Risultavano così leggeri, però, che il nemico per abbatterli, dato che i colpi li trapassavano da parte a parte, non restava che colpire il motore, o uccidere il pilota. Infatti, i tedeschi, lì apprezzarono di più, visto che erano in grado di trasportare fino a 85 quintali di materiale sopportando cose indicibili. A questo va aggiunto che i piloti italiani per ripararli diventarono dei maestri, tanto che cannibalizzavano gli aerei tedeschi abbattuti per usarli come parti di ricambio.

Due medaglie al valore militare

Quello che affrontò Fulvio Setti nel periodo bellico, mostra a grandi linee la situazione dell’Italia di quegli anni. Un Paese fatto d’uomini che affrontarono, più con coraggio che con i mezzi, una situazione senza via d’uscita. Qui di seguito è riportata una delle vicende tra le tante affrontate, che gli valse una delle due medaglie al valore militare. Quella d’argento per aver salvato il suo aereo e il carico d’uomini e cose che trasportava.

Mentre trasportava un carico di munizioni pesanti fu scoperto dalla caccia nemica. Setti nonostante il suo aereo fosse stato colpito e duramente danneggiato riuscì caparbiamente a portare il velivolo giù su una piccola pista che non era nemmeno segnata sulle carte. Lo fece atterrare a vista con la testa fuori dall’abitacolo per riuscire a vedere dove scendere. Il fumo e l’olio che fuoriusciva dal motore in fiamme, infatti, impediva la visuale.

Setti in volo verso l’Africa

Ma l’episodio che lo doveva segnare ancor più duramente doveva ancora arrivare. Accettò di partire volontario con il suo equipaggio, era il 5 maggio del 1943, insieme con altri cinque velivoli da trasporto S82, verso l’Africa settentrionale per una missione difficile. Tunisi stava cadendo, ed in un ultimo disperato tentativo, si cercava di portare aiuto all’armata italiana trasportando un commando di bersaglieri. Il tentativo era più che disperato, gli alleati erano padroni del mediterraneo sia in mare che in cielo. Molti dei suoi compagni della SAS erano stati abbattuti e giacevano in fondo al mare.

In mezzo al Mediterraneo, furono attaccati da decine di caccia Spitfire. Vennero aiutati per quanto possibile, dai quindici caccia di scorta italiani. Ma vide i suoi compagni cadere e scomparire nelle acque con il loro carico d’uomini, nel mare, ad uno ad uno. Il suo aereo venne colpito pesantemente, con un motore in avaria e con l’altro che perdeva benzina ed il mitragliere colpito a morte. Si difese come poteva, con i bersaglieri che sparavano disperatamente da tutte le direzioni affacciandosi dai finestrini dell’aereo. Agli altri militi che non potevano partecipare alla lotta, non restava che pregare e stringere al petto le foto dei loro cari preparandosi come gli altri ad inabissarsi nel mare.

Il volo a pelo d’acqua per fuggire ai nemici

La forza della disperazione e dell’esperienza lo portò a volare a pelo d’acqua, come aveva già fatto in decine di voli, in cui per gioco si era fermato a guardare le meraviglie del creato. Volò tanto basso che se un delfino fosse guizzato dal mare li avrebbe colpiti, così riuscì poco a poco a sottrarsi alla caccia nemica. Tanto è vero che anche gli aerei di scorta lo diedero colpito e inabissato.

L’aereo restò in volo per miracolo, la benzina persa era tanta e ormai raggiungere l’aeroporto rimaneva un miraggio. Riuscì dopo ore di volo con il motore che ormai stava morendo ad atterrare su una spiaggia della penisola di Capo Bon. I bersaglieri felici dopo una foto ricordo scattata da Setti, si incamminarono verso qualche comando italiano che gli impartisse degli ordini. Quei pochi sopravvissuti del gruppo dei cinque aerei sarebbero di lì a qualche settimana stati fatti tutti prigionieri.

Il ritorno a casa

Il ritorno a casa per Setti non fu da meno della partenza, anzi fu più rocambolesco, gli alleati erano prossimi a catturare l’aeroporto. Setti e i suoi uomini erano riusciti a riparare l’aereo e a portarlo nella notte nell’aeroporto via dalla spiaggia che li aveva salvati.

Dopo aver preso posto nell’aeroporto, si pararono davanti a lui due generali, chiedendo un passaggio in Italia. Erano dello stato maggiore, ed avevano un messaggio del Generale Messe, (lo stesso che aveva avuto sotto il suo comando Ernesto Picaglia altra medaglia al valore per La Fratellanza Modena, nel primo conflitto mondiale) questi, chiedeva al Re in persona, cosa fare, se arrendersi o cercare ancora di resistere.

L’aereo era stato rappezzato con camice e fazzoletti, usando tutto quello che poteva servire, con i motori riparati alla bene è meglio e si trovava in un aeroporto continuamente attaccato dagli alleati con pesanti bombardamenti. Ogni aereo che cercava di partire veniva subito abbattuto dai caccia americani. In un ultimo tentativo, Setti, invitò i due generali a trovare un mezzo più sicuro per andare in Italia, visto che non credeva di farcela. Ma non c’era tempo e gli ordini non si discutevano, così fece rullare l’aereo tra le buca dell’aeroporto partendo con i caccia nemici che lo bersagliavano da ogni lato forando il suo aereo. Setti con incredibile perizia e abilità, volando basso, riuscì in un ennesima rocambolesca fuga, ad evitare la caccia nemica.

Medaglia d’oro al valore militare

Per questa missione fu decorato al suo ritorno in patria, con la medaglia d’oro al valor militare.

L’ultimo suo volo dall’Africa, lo fece su una tanica di benzina, perché il sedile era troppo pesante e avrebbe dovuto lasciare a terra due uomini. Erano giorni che preannunciavano la fine dell’Italia, così come l’avevano conosciuta quei giovani, invecchiati presto al suono dei cannoni. Ma Fulvio Setti non volle mai lasciare indietro nessuno, diceva sempre, o tutti o nessuno, ma ormai era arrivato il tempo della disfatta.

Di lì a poco la Sicilia sarebbe stata invasa; gli alleati prima ancora dello sbarco in Normandia, penetrarono in Europa dalla sua punta estrema posta a sud, e Fulvio continuò i suoi voli, portando i rifornimenti a truppe che iniziavano a risalire sempre più la penisola italiana.

L’8 Settembre

Fino all’8 Settembre ogni tanto riusciva a tornare a casa, ma dopo l’armistizio non riuscì a vedere la sua famiglia che alla fine del conflitto. Mentre si trovava a Milano per ordini di viaggio, di ritorno in treno a Roma, si fermò a Modena per andare a visitare i suoi cari. Era uno strappo al regolamento che si concesse di buon grado, ma gli eventi precipitavano. L’armistizio, oltre a spaccare il Paese in due lacerò anche il cuore degli uomini che non sapevano più se dover combattere per la patria e se essa esisteva ancora.

Oppure, dovevano semplicemente cercare di difendere i loro cari. Raggiunto in fretta e furia di nascosto i suoi familiari, che erano sfollati in montagna, Fulvio chiese loro consiglio, questi lo invitarono a scappare perché i tedeschi rastrellavano tutti i soldati e gli ufficiali. Alla fine partì, tenendo fede al suo giuramento di soldato verso il Re e la patria. Riuscì a raggiungere Roma, e con alcuni amici dopo alcuni giorni in cui progettarono la cosa, rubarono un S79 sfuggendo questa volta al fuoco tedesco. Il gruppo si diresse a Lecce, e di lì continuarono a combattere per l’Italia.

La fuga della famiglia

La sua famiglia dovette scappare perché i partigiani consigliarono loro di fuggire. Ormai l’appenino modenese era terra di partigiani, e i continui rastrellamenti dei nazi fascisti, avrebbero, se scoperto l’identità dei familiari di Setti, fucilato tutti come traditori. Da quella parte dell’Italia si era ormai considerati dei vili, non più degli eroi, così la sua famiglia dovette fuggire a Novara presso dei parenti. Le sole notizie che riceveva arrivavano dai rari e sporadici telegrammi che i delegati della Croce Rossa consegnavano. Fulvio scriveva sotto falso nome, per non far catturare la sua famiglia.

Solo sei mesi dopo la fine della guerra tornò a casa, si presento con una divisa logora, e con una barba lunghissima al cancello dove dimorava sua moglie e i suoi figli, i suoi lo riconobbero a stento. Al termine della guerra aveva accumulato al suo attivo oltre 220 voli venendo abbattuto per tre volte mentre prestava servizio sui diversi fronti del conflitto.

La vita dopo la guerra

Al ritorno alla vita civile s’impegno nell’azienda di casa e cercò di aiutare quello che rimaneva della sua vecchia società sportiva, la Fratellanza Modena, ne fu il presidente per un certo periodo. Di quando in quando la sostenne anche finanziariamente. Poi venne assorbito dagli innumerevoli impegni che consumavano la sua mente.

Fu presidente del Coni provinciale fino al 1977, dirigenza che tenne sin dal 1950, e nel 50esimo anniversario della fondazione della sua azienda offrì un pranzo tipico modenese a tutti gli enti di beneficenza della provincia. Ai suoi dipendenti regalò una settimana alle olimpiadi di Roma.

Poi come per tutti, anche per lui arrivò il momento di lasciare questa vita. Si spense mentre stava portando avanti i suoi mille impegni. Nonostante il tumore che poco alla volta lo consumava, continuò a presenziare a tutti i suoi incarichi.

Le sue ultime parole furono per i suoi cari aerei che in vita aveva tanto amato, e che nemmeno il male che lo stava portando via, riuscì a fargli dimenticare.

Il suo busto in bronzo raffigura più che un guerriero, la semplicità e la spensieratezza di un ragazzo d’altri tempi. Si trova fuori dal deposito dell’aviazione militare di Modena. È intitolato a Fulvio Setti, il 27 Settembre 1996.