Le patologie della tiroide rappresentano nel periodo della gravidanza il problema endocrinologico più comune dopo il diabete. Gli ormoni tiroidei, infatti, giocano un ruolo cruciale sia per la fertilità, sia per consentire di portare a termine una gravidanza normale. Non solo, visto che incidono anche sul normale sviluppo del sistema nervoso del bambino.
Prima di affrontare una gravidanza, pertanto, è bene saperne di più se si soffre di problemi tiroidei. Un aiuto per le gestanti giunge dagli esperti del Policlinico Gemelli di Roma.
Una tiroide malfunzionante può causare infertilità
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Se la tiroide funziona male in eccesso, ipertiroidismo, o in difetto, ipotiroidismo, può causare problemi di fertilità.
«Se una coppia ha difficoltà a concepire, una delle cose da controllare è proprio la funzionalità tiroidea». A parlare è Alfredo Pontecorvi, direttore della UOC di Medicina Interna, Endocrinologia e Diabetologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. «Prima di affrontare una gravidanza, oltre agli esami di routine consigliati dal ginecologo, è importante dosare il TSH. Ciò per essere certi di affrontare la gravidanza con una tiroide che funziona correttamente, soprattutto se si è over 30. A quest’età il 7-8% delle donne ha un ipotiroidismo subclinico. O se si ha familiarità per patologie autoimmuni o malattie tiroidee».
In gravidanza aumenta il fabbisogno di ormoni tiroidei
Una tiroide sana è in grado di compensare l’aumentato fabbisogno in gravidanza. Aumenta anche di volume per produrre più ormoni.
«Durante la gravidanza – spiega Pontecorvi che è anche Ordinario di Endocrinologia dell’Università Cattolica – alla tiroide materna viene richiesto un superlavoro. La tiroide deve, difatti, fornire gli ormoni tiroidei anche al feto, soprattutto nei primi tre mesi. Il feto comincia a produrre i suoi ormoni della tiroide solo dalla 12° settimana di gravidanza in poi. Questo comporta tra l’altro un maggior fabbisogno di iodio che serve per ‘fabbricare’ gli ormoni tiroidei. Fabbisogno che durante la gravidanza passa da 150 a circa 250 microgrammi al giorno. Il consiglio dunque è di usare sempre sale iodato, a partire già da diversi mesi prima del concepimento. O di assumere supplementi se si è in carenza di iodio».
Ipotiroidismo in gravidanza, le ripercussioni sul nascituro
Una condizione di ipotiroidismo nel primo trimestre di gravidanza può avere serie ripercussioni sullo sviluppo neurologico del bambino e sul suo quoziente intellettivo.
«Le donne già in terapia sostitutiva con L-tiroxina durante la gravidanza devono aumentare del 30-50% il dosaggio abituale del farmaco. Ciò – spiega Carlo Rota, endocrinologo della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – sia se sono tiroidectomizzate o in ipotiroidismo per una tiroidite autoimmune».
Ma anche nel secondo e terzo trimestre, un ipotiroidismo materno può aumentare il rischio di sofferenza fetale e di basso peso alla nascita. O provocare un parto prematuro.
«Si tratta di una condizione che si associa ad un rischio aumentato di poliabortività», dichiara Pontecorvi. «Non solo per la cattiva funzionalità della tiroide, ma anche per la presenza di un sistema immunitario iperattivo. Questo può determinare aborti precocissimi nelle prime settimane di gravidanza».
Controlli a poche settimane dal parto
Dopo la nascita del bambino, è bene fare un controllo della tiroide a 6-8 settimane dal parto. Nel post-partum c’è il rischio di una recidiva di ipertiroidismo o del peggioramento di una tiroidite di Hashimoto. O della comparsa di una tiroidite del post-partum, che può verificarsi nell’8% delle donne.
«Pur essendo codificati una serie di controlli sulla tiroide, in relazione all’età avanzata delle gestanti italiane, occorre dare un messaggio tranquillizzante sulla loro gestione». È quanto afferma Antonio Lanzone, direttore dell’U.O.C. Ostetricia e Patologia Ostetrica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Ginecologia/Ostetricia alla Cattolica. «Il punto più critico sembra essere la valutazione precoce, che conviene fare in epoca pre-concezionale. Infatti, nel primo trimestre (periodo più delicato) potrebbe risultare un poco tardiva l’identificazione di forme cliniche manifeste. È giusto in tal senso attuare, laddove possibile, un colloquio multidisciplinare, ai fini dell’ottimizzazione della salute materno-fetale».