L’epatocarcinoma, il tumore più comune del fegato, rappresenta una delle più gravi sfide sanitarie globali. Nel Lazio, regione con un’incidenza particolarmente elevata, esperti e professionisti della sanità lanciano un appello. Bisogna creare una rete territoriale integrata che consenta una diagnosi precoce e un trattamento uniforme, indipendentemente dal luogo di residenza o dalle condizioni socioeconomiche dei pazienti. Questo è stato il fulcro del recente evento scientifico “L’epatocarcinoma nel Lazio. Focus sulle diverse realtà territoriali”, tenutosi a Latina e organizzato con il supporto della ASL locale e di diverse istituzioni accademiche.

«È urgente elaborare nel Lazio una strategia che favorisca la formazione di una rete territoriale per la gestione dell’epatocarcinoma». A dichiararlo, il professor Adriano De Santis, responsabile scientifico dell’evento e autorevole gastroenterologo.

«Solo così potremo garantire ai pazienti una presa in carico tempestiva e l’accesso ai migliori trattamenti possibili».

Epatocarcinoma: caratteristiche, cause e incidenza

“L’epatocarcinoma nel Lazio. Focus sulle diverse realtà territoriali”

L’epatocarcinoma (HCC) rappresenta circa il 75-85% dei tumori primitivi del fegato. Questo tumore insorge quasi esclusivamente su fegato cirrotico.

Parliamo cioè di una condizione cronica che spesso deriva da infezioni virali da epatite B e C, abuso alcolico, malattie metaboliche come la steatosi epatica non alcolica (NAFLD) o patologie autoimmuni. La sua incidenza è fortemente correlata a fattori di rischio prevenibili.

Il che, rende la diagnosi precoce e le strategie di sorveglianza essenziali per migliorare la prognosi.

Secondo l’ultimo rapporto AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), nel 2023 sono state stimate circa 12.200 nuove diagnosi di tumore al fegato in Italia, con un tasso di mortalità elevato: 9.600 decessi nel 2022. La regione Lazio presenta un quadro critico, con un numero crescente di pazienti diagnosticati, soprattutto nelle province di Roma e Latina.

«L’epatocarcinoma raramente insorge su fegato sano», ha sottolineato il professor De Santis. «Questo rende la sorveglianza clinica e gli screening su pazienti a rischio strumenti indispensabili per una diagnosi precoce, che è la chiave per migliorare la prognosi e la qualità della vita».

La situazione nel Lazio: disparità territoriali e necessità di integrazione

Nel Lazio, l’epatocarcinoma rappresenta una delle principali cause di ricovero ospedaliero per neoplasie. Solo nel 2020, secondo i dati presentati durante l’evento, 184 pazienti sono stati ricoverati nella provincia di Latina, con 86 decessi. Complessivamente, nello stesso anno, 896 persone sono morte a causa di questa patologia nella regione.

Tuttavia, gli esperti hanno evidenziato una distribuzione disomogenea delle risorse diagnostiche e terapeutiche. Mentre strutture come il Policlinico Umberto I e l’Ospedale San Camillo di Roma offrono trattamenti avanzati, nelle province più periferiche, come Latina, Formia o Terracina, l’accesso a tecnologie all’avanguardia e terapie innovative è spesso limitato.

«Oggi esiste una disparità nei percorsi di cura e presa in carico dei pazienti», ha spiegato il professor De Santis. «Questo significa che non tutti i cittadini del Lazio possono accedere allo stesso livello di trattamento, un problema che intendiamo risolvere con una rete territoriale integrata».

Gestione multidisciplinare e innovazione tecnologica

Un modello vincente per la gestione dell’epatocarcinoma è rappresentato dall’approccio multidisciplinare, già attivo presso la ASL di Latina. «Da 15 anni il nostro team collabora per offrire un percorso di cura completo», ha raccontato il professor Lorenzo Ridola, direttore della UOC di Gastroenterologia dell’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina. «La collaborazione tra gastroenterologi, oncologi, radiologi e chirurghi è fondamentale per migliorare la prognosi dei pazienti».

Uno degli esempi più avanzati di terapia è rappresentato dalla radioembolizzazione epatica, una procedura innovativa che combina l’uso di microsfere radioattive per trattare direttamente le lesioni tumorali. «Dal 2004, abbiamo trattato oltre 1.500 pazienti con questa tecnica», ha dichiarato il dottor Oreste Bagni, responsabile della Medicina Nucleare presso il Goretti. «Più del 60% di questi pazienti era affetto da epatocarcinoma, e i risultati sono stati estremamente promettenti».

Parallelamente, si sta investendo nell’introduzione di nuovi farmaci e nell’applicazione dell’intelligenza artificiale per migliorare la diagnosi e personalizzare i trattamenti. Questi progressi, sottolineano gli esperti, sono cruciali per offrire terapie di qualità superiore e garantire una gestione ottimale della malattia.

La proposta: creare una rete territoriale per il Lazio

La creazione di una rete territoriale integrata per la gestione dell’epatocarcinoma è il principale obiettivo dei professionisti sanitari del Lazio.

Questa rete dovrebbe includere medici di medicina generale, specialisti delle ASL, ospedali periferici e centri di eccellenza regionali.

Cosa che potrebbe consentire una collaborazione fluida e un approccio uniforme alla diagnosi e al trattamento.

La rete avrebbe molteplici vantaggi: facilitare l’identificazione precoce dei pazienti a rischio, standardizzare i protocolli di cura, garantire l’accesso alle tecnologie più avanzate e ridurre le disparità geografiche. Inoltre, coinvolgere i medici di base nei programmi di screening potrebbe aumentare l’efficacia della sorveglianza, specialmente per patologie croniche come l’epatite virale, che rappresenta una delle principali cause di epatocarcinoma.

«Il nostro obiettivo è raggiungere tutte le province del Lazio». Ad affermarlo, il professor De Santis. «Solo così possiamo costruire un sistema che metta il paziente al centro e garantisca una concreta parità di accesso alle cure».

Verso un futuro di speranza per i pazienti con epatocarcinoma

L’epatocarcinoma rappresenta una delle sfide più complesse per il sistema sanitario.

Altresì può trasformarsi in un’opportunità per dimostrare come la cooperazione e l’innovazione possano trasformare il modo in cui affrontiamo le malattie.

La creazione di una rete territoriale nel Lazio, come proposto dagli esperti, non è solo una necessità, ma una responsabilità verso i pazienti e le loro famiglie.

Con il supporto delle istituzioni e l’impegno dei professionisti sanitari, il Lazio potrebbe diventare un modello per la gestione dell’epatocarcinoma.

Come ha concluso De Santis, «Abbiamo le conoscenze e gli strumenti per fare la differenza. Ora è il momento di agire».

Fonti

• Evento ECM “L’epatocarcinoma nel Lazio. Focus sulle diverse realtà territoriali”

• Rapporto AIOM 2023, I numeri del cancro in Italia

• Interventi di esperti durante la conferenza.