La popolazione con diabete è prossima ai 5 milioni di unità, dato che rende l’idea dell’importanza e della gravità di un tema di sanità pubblica.
L‘Istituto Superiore di Sanità stima che almeno un paziente diabetico su sei ogni anno viene ricoverato in ospedale. Ricovero che diventa necessario per gestire eventi acuti derivanti da complicanze di varia natura. Le crisi iperglicemiche e ipoglicemiche impongono, difatti, attenzioni e cure particolari. E “il dopo” del paziente diabetico in Pronto soccorso presenta problemi e complessità tali da imporre risposte sanitarie in una logica di continuità di cura. Troppo spesso accade che i pazienti affetti di diabete, superata la fase emergenziale sono dimessi e lasciati a se stessi. Cioè, senza uno specifico percorso assistenziale in grado di assicurare l’indispensabile aderenza e persistenza terapeutica di cui invece avrebbero assoluta necessità.
Sul problema si sono confrontati rappresentanti delle istituzioni, clinici e pazienti nel corso di un convegno in Senato.
Garantire una successiva gestione ottimale del diabetico
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Gli intervenuti al Convegno sono stati concordi nel ritenere che una risposta sanitaria più efficiente e organica può provenire solo da uno specifico percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale. Percorso che deve essere tracciato al momento della dimissione.
«È indispensabile la presa in carico del paziente con modalità strutturate», ha dichiarato Francesco Pugliese, direttore del Dipartimento Emergenza dell’Ospedale Pertini di Roma. Presa in carico che deve «garantire una successiva gestione ottimale condivisa con la medicina del territorio. Un approccio che, da un lato, poggi sulla formazione dei pazienti e dei caregiver in fase di accesso al Pronto soccorso. E dall’altro si avvalga di un sistema assistenziale multiprofessionale e multidisciplinare, senza alcuna discontinuità. In questo senso, un contributo importante viene dall’innovazione. In particolare, dalle nuove tecnologie che consentono un monitoraggio dei livelli glicemici con sensori e anche in remoto, secondo le logiche di una sempre più efficiente telemedicina», conclude Pugliese.
Monitoraggio in remoto dei livelli glicemici
Sul tema del monitoraggio in remoto dei livelli glicemici resta però ancora molto da fare. Basti pensare che una ricerca condotta di recente dall’Istituto Bhave ha rilevato che questa tecnologia è utilizzata solo dal 50% circa dei pazienti eleggibili. Questa è costituita oggi dai pazienti diabetici tipo 1 e tipo 2 in trattamento con terapia insulinica multiniettiva.
Un dato indice della necessità di formazione che permetta di utilizzare in modo più appropriato queste tecnologie, valutandone l’ampliamento anche a fasce di popolazione più ampie. Esse potrebbero beneficiarne, come ad esempio i pazienti diabetici di tipo 2 in trattamento con insulina basale. Questo permetterebbe di prevenire l’arrivo in Pronto soccorso, grazie alla riduzione del rischio di eventi acuti e complicanze croniche, in una popolazione ad alto rischio.
Diabete, gestire le fasi post ospedaliere
Un appello importante è pervenuto dal mondo advocacy. Lina Delle Monache di Federdiabete Lazio ha dichiarato: «Se è vero, come è vero, che il paziente diabetico è un soggetto complesso che presenta esigenze particolari richiede allora un approccio adeguato e multidisciplinare. Le parole d’ordine per la gestione delle fasi post ospedaliere di questi pazienti non possono che essere due. Cioè, continuità di cura e dimissione protetta, basata su un network ospedale-territorio».