L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato la rimborsabilità di Mirikizumab. Si tratta di un farmaco che colpisce una delle vie di infiammazione cruciali nello sviluppo della colite ulcerosa, offrendo sollievo dai principali sintomi.

Mirikizumab al momento è l’unico farmaco rimborsato che colpisce l’interleuchina-23, proteina responsabile dell’infiammazione che può innescare la colite ulcerosa.

La patologia interessa lo strato più interno del colon e provoca forte frequenza evacuativa, sanguinamento rettale e urgenza intestinale. A svilupparla sono soprattutto pazienti d’età compresa tra i 15 e i 30 anni. Il 25% ha addirittura meno di 18 anni.

Si stima che in Italia questa forma di colite riguardi circa 160mila persone, con 4mila nuove diagnosi ogni anno. Data la frequenza e la gravità dei sintomi, l’impatto sulla vita sociale e lavorativa è notevole. Proprio da qui nasce l’esigenza di sviluppare e adottare un farmaco che attenui i disagi connessi alla malattia.

Colite ulcerosa, il Mirikizumab rappresenta una speranza

Il Mirikizumab rappresenta un nuovo passo verso il miglioramento della qualità della vita dei pazienti affetti da colite ulcerosa. 

«I sintomi sono molto difficili da raccontare», dichiara Salvo Leone, segretario generale di AMICI Italia e Chairman di European Federation of Chron’s & Ulcerative Colitis Association (EFCC). «È come fare un viaggio con un amico molto antipatico sperando che dorma sempre. Chi è affetto da colite ulcerosa sperimenta isolamento sociale e lavorativo. Secondo un’indagine condotta nel 2023 su un campione di 1350 pazienti, sei lavoratori su dieci sono stati costretti a chiedere un congedo dal lavoro. Il 20% di loro è stato perfino oggetto di discriminazione. I bisogni dei malati cambiano a seconda dell’età e della gravità della patologia, che alterna fasi acute a fasi di remissione. Per questo, controllare i sintomi rappresenta un importante obiettivo nella gestione della malattia».

Mirikizumab, anticorpo monoclonale usato negli adulti

Molto spesso si sottovalutano i primi segni della malattia, come dolori addominali e lieve sanguinamento. La diagnosi può, dunque, essere tardiva.

«Per comprendere se si tratta o meno di colite ulcerosa, si deve prima effettuare l’esame del sangue e delle feci. Solo dopo la diagnosi, il medico prescrive una colonscopia con biopsia», ha spiegato Alessandro Armuzzi, professore ordinario di Gastroentorologia alla Humanitas di Rozzano.

Mirikizumab rappresenta una novità nel percorso terapeutico che devono intraprendere i pazienti affetti da forme particolarmente gravi di colite ulcerosa.

«Si tratta di anticorpo monoclonale adottato negli adulti, anche lì dove ci sono comorbidità», ha aggiunto Armuzzi. «Può essere utilizzato come terapia avanzata sia di prima sia di seconda linea. La somministrazione avviene per via endovenosa una volta al mese. Allo scoccare della dodicesima settimana dopo la prima assunzione, basta un’iniezione sottocutanea».

A prescrivere il trattamento a base di Mirikizumab deve essere necessariamente un gastroenterologo.

Prevenire la progressione del danno intestinale

Non si conoscono ancora le cause della colite ulcerosa, quindi non è possibile agire in maniera mirata per evitarne l’esordio. È certo che chi ha un familiare che ha sviluppato la patologia avrà a sua volta una maggiore possibilità di doverla affrontare.

I pazienti possono prevenire la progressione del danno intestinale e lo sviluppo di complicanze grazie alla terapia medica. E a una dieta povera di prodotti caseari, di alimenti ricchi di grassi, di cibi piccanti, bevande alcoliche o con caffeina. Accortezze, queste da rispettare rigorosamente nelle fasi acute della malattia.

«Nei periodi di remissione, invece, non ci sono restrizioni alimentari», ha rassicurato Armuzzi. «Attenzione al falso mito che riguarda il consumo delle verdure. I pazienti devono assumere fibre, perché contengono nutrienti che permettono il corretto trofismo dell’epitelio del colon. Bisogna mangiarne di meno solo quando la malattia si sta riacutizzando: le ulcerazioni, infatti, impediscono l’assorbimento di questi alimenti», conclude Armuzzi.