aviaria

L’aviaria torna a fare paura. Crescono infatti i casi di infezione virale che porta alla malattia influenzale, che tante vittime aveva mietuto negli allevamenti di volatili negli anni passati anche in Italia.

Ad aumentare, la circolazione del virus H5N1 fra gli uccelli selvatici. Il rischio è che questi ultimi possano infettare gli allevamenti avicoli. Lo riporta l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), che ravvisa la necessità di rafforzare la sorveglianza e l’applicazione delle misure di biosicurezza negli allevamenti avicoli.

Anche se al momento non si registrano focolai, la preoccupazione è anche nei riguardi dei mammiferi. Ci sono stati infatti casi di spillover, il cosiddetto salto di specie, in visoni allevati. E mutazioni del virus H5N1 potrebbero favorire il passaggio ai mammiferi ed anche all’uomo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (Woah) hanno quindi invitato tutti i Paesi ad innalzare il livello di allerta.

Con lo spillover si verifica l’uscita di un virus da una specie “serbatoio” verso una nuova specie “ospite”. Due, a quel punto, gli scenari: il patogeno può essere eliminato dal nuovo ospite; oppure può adattarsi fino a innescare epidemie.

Influenza aviaria negli animali e nell’uomo

L’influenza aviaria è una malattia che può essere causata da un’infezione causata dai virus della famiglia Orthomyxoviridae, del genere Influenza-virus A; essi possono essere a bassa patogenicità (LPAI) o ad alta patogenicità (HPAI).

Colpisce in prevalenza i volatili selvatici, che ne sono il principale serbatoio; come portatori sani (che non si ammalano) possono eliminare il patogeno con le feci, infettando gli uccelli domestici. Per questi ultimi – quali polli, tacchini, anatre ed altri animali da cortile – l’aviaria è altamente letale e può causare danni devastanti negli allevamenti, soprattutto quelli intensivi.

L’impatto economico dell’aviaria è infatti molto importante, proprio per l’alto tasso di mortalità tra i soggetti che vengono infettati. Ed anche per la necessità di procedere alle restrizioni al commercio ed a decise politiche di eradicazione nei luoghi in cui si sono sviluppati focolai.

Non esiste terapia. E’ una malattia di categoria A, secondo il Regolamento (UE) 2016/429 e atti delegati, soggetta a denuncia obbligatoria e prevede l’applicazione dai regolamenti citati (abbattimento di tutti gli animali, vuoto sanitario con pulizia e disinfezione e l’istituzione di zone di restrizione). Nel caso di HPAI – riporta il sito del Ministero della Salutele zone sono una di protezione (3 km di raggio dall’azienda infetta) e una di sorveglianza (10 km di raggio dall’azienda), secondo di quanto previsto dall’Allegato V del Regolamento delegato (UE) 2020/687“.

Controllo sanitario per la salute pubblica

Oltre ai volatili, anche cavalli, maiali, cani e balene possono essere infettati dai virus dell’aviaria. Tra i soggetti infettabili c’è anche l’uomo, sebbene il contagio sia più raro ed occasionale, principalmente legato al contatto con animali infetti; l’infezione diretta da uomo a uomo, invece, non è mai stata confermata.

La questione dell’aviaria deve essere presa molto sul serio, come rileva anche l’IZSVe, che è il centro nazionale ed europeo di riferimento sul tema. “L’importanza del controllo sanitario per questa malattia non è legato solo a un problema di sanità animale ma anche di salute pubblica. Infatti i virus influenzali appartenenti al tipo A possono infettare anche altri animali (maiali, cavalli, cani, balene) nonché l’uomo. Data l’elevata frequenza con cui questi virus vanno incontro a fenomeni di mutazione, c’è la possibilità che da un serbatoio animale possa originare un nuovo virus per il quale la popolazione umana risulta suscettibile, dando modo alla malattia di estendersi a livello globale e provocando quindi una pandemia”.

La diffusione del ceppo H5N1 al Nord Italia

La diffusione del ceppo H5N1 HPAI fra gli uccelli selvatici è in aumento, in Italia come nel resto del mondo – dichiara Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza per l’influenza aviaria – Nel nostro Paese, i casi di H5N1 HPAI nell’avifauna interessano principalmente Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Il ministero della Salute ha evidenziato come tale situazione costituisca un rischio costante per gli allevamenti di volatili domestici, considerato che alcune zone ad elevata densità avicola coincidono con le aree dove attualmente si rilevano casi di HPAI nei selvatici. Come Centro di referenza stiamo monitorando l’evoluzione dell’epidemia su tutto il territorio nazionale con estrema attenzione, per evitare che si verifichi una situazione come nell’inverno 2021-2022“.

Da settembre 2022 ad oggi sono 79 i casi confermati di positività. Le specie colpite, i gabbiani (19), le alzavole (13) ed i germani (10); altri casi a carico di rapaci e anatidi sono in via di analisi. In Italia non si sono verificati, per ora, casi tra i mammiferi; sono però previste attività di monitoraggio in particolare nelle zone umide frequentate da uccelli selvatici, potenzialmente infetti.

La sorveglianza genetica consente non solo di identificare correttamente il virus ma anche di studiarne le mutazioni. Gli studi finora condotti dall’IZSVe – ricorda l’istituto – indicano un’evoluzione solo parziale del virus che, per il momento, non è in grado di causare un contagio inter-umano. Non si può escludere però che il virus in futuro possa acquisire caratteristiche tali da renderlo trasmissibile da uomo a uomo. Una delle armi più efficaci per individuare tempestivamente questa eventualità è la condivisione delle sequenze genetiche fra i membri della comunità scientifica, in modo da seguire l’evoluzione del virus nel tempo e nello spazio e capire se si verificano mutazioni che favoriscono la replicazione nei mammiferi“.