Negli ultimi decenni, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) ha visto un crescente riconoscimento e diagnosi, soprattutto tra i bambini e i giovani adulti. Sebbene i farmaci stimolanti come l’Adderall abbiano dimostrato di essere trattamenti efficaci, un nuovo studio lancia un allarme: dosi elevate di questi farmaci possono aumentare significativamente il rischio di gravi effetti collaterali, come episodi di psicosi e mania. Ma cos’è l’ADHD, come si è evoluta la sua diagnosi e quali sono i trattamenti più comuni? E qual è il vero impatto di questa nuova ricerca?

Cos’è l’ADHD? Una patologia in Crescita

ADHD e rischi da alte dosi di Adderall

L’ADHD, o disturbo da deficit di attenzione e iperattività, è una condizione neuropsichiatrica che colpisce prevalentemente i bambini, ma può persistere anche in età adulta. I principali sintomi includono difficoltà nel mantenere l’attenzione, impulsività e un livello elevato di iperattività che va oltre il normale comportamento energetico di un bambino. Questi sintomi possono interferire con la vita scolastica, sociale e familiare, tanto da compromettere il rendimento scolastico e i rapporti interpersonali.

Un disturbo storicamente sottovalutato

L’ADHD non è una scoperta recente. Le prime diagnosi risalgono agli inizi del XX secolo, quando veniva descritto come “sindrome da deficit di attenzione” e veniva spesso mal interpretato come un problema di disciplina. Tuttavia, solo negli anni ’80 la condizione è stata ufficialmente riconosciuta come ADHD, con l’aggiunta dell’elemento dell’iperattività. Con il progredire degli studi, i medici hanno iniziato a comprendere meglio le cause genetiche e neurobiologiche della malattia, che includono squilibri nella regolazione di neurotrasmettitori come la dopamina.

Un fenomeno sempre più comune tra i bambini

Negli ultimi vent’anni, c’è stato un aumento significativo delle diagnosi tra i bambini. Secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti, circa il 9,4% dei bambini tra i 2 e i 17 anni è stato diagnosticato con ADHD.

Il che equivale a circa 6,1 milioni di bambini.

In particolare, la prevalenza è maggiore nei ragazzi rispetto alle ragazze, anche se si ritiene che le ragazze siano spesso sottodiagnosticate a causa di sintomi meno visibili di iperattività.

Terapie per l’ADHD: evoluzione e controversie

I trattamenti si sono notevolmente evoluti nel tempo.

Fino agli anni ’80, l’approccio terapeutico si basava prevalentemente su interventi comportamentali e psicologici, come la terapia cognitivo-comportamentale e le tecniche educative mirate a migliorare l’autocontrollo e l’organizzazione. Questi, aiutavano i pazienti, soprattutto i bambini, a gestire i loro sintomi, promuovendo abilità sociali e riducendo i comportamenti impulsivi e iperattivi. Tuttavia, la gestione dell’ADHD è cambiata radicalmente a partire dagli anni ’90 con l’introduzione diffusa dei farmaci stimolanti come trattamento principale.

Tra i farmaci più noti vi è l’Adderall.

Parliamo di un medicinale a base di anfetamine che agisce stimolando il rilascio di due importanti neurotrasmettitori: dopamina e norepinefrina. Questo meccanismo aiuta a migliorare la capacità di concentrazione, a gestire l’impulsività e a ridurre l’iperattività.

L’effetto di Adderall è particolarmente evidente nella sua capacità di migliorare il focus e sostenere l’attenzione per periodi di tempo prolungati.

Tutti fattori chiave per persone affette da ADHD, che spesso lottano con la distrazione e l’incapacità di completare compiti.

Un altro farmaco ampiamente utilizzato è il Ritalin (metilfenidato). Questo stimolante agisce aumentando i livelli di dopamina nel cervello, bloccando il riassorbimento di questo neurotrasmettitore. L’aumento della dopamina, che svolge un ruolo cruciale nei processi di attenzione e ricompensa, permette ai pazienti di migliorare la concentrazione e ridurre l’impulsività. Il metilfenidato è particolarmente efficace nel gestire i sintomi tipici dell’ADHD, inclusi i problemi di attenzione e le difficoltà a seguire le istruzioni.

Oltre ai farmaci stimolanti, esistono altre terapie non stimolanti che vengono utilizzate in casi particolari. Tra questi, l’atomoxetina, che comporta minori rischi di dipendenza e ha una modalità d’azione più lenta. Ma veniamo alla notizia sull’Adderall.

L’Adderall e il suo impatto sui giovani con ADHD

Adderall, uno dei farmaci più comunemente prescritti per il trattamento dell’ADHD, è apprezzato per la sua efficacia nel migliorare la concentrazione, l’attenzione e nel ridurre l’impulsività, soprattutto nei bambini e nei giovani adulti.

Il farmaco, a base di anfetamine, agisce stimolando la produzione di dopamina e norepinefrina nel cervello, due neurotrasmettitori che aiutano a regolare l’attenzione e il controllo degli impulsi.

Questa efficacia ha portato a un aumento esponenziale delle prescrizioni negli Stati Uniti, dove l’Adderall è diventato una scelta primaria per molti pazienti affetti da ADHD.

Tuttavia, con la sua crescente popolarità è emersa una preoccupazione riguardante l’abuso del farmaco, soprattutto tra adolescenti e giovani adulti.

Queste categorie infatti talvolta lo utilizzano per motivi diversi dal trattamento dell’ADHD.

In particolare, l’Adderall è diventato un farmaco “da prestazione”.

In molti casi viene cioè impiegato per migliorare le performance accademiche o lavorative, grazie al suo effetto sulla concentrazione e sull’energia mentale.

La pressione sociale e accademica ha spinto molti a cercare un vantaggio competitivo attraverso l’uso non terapeutico del farmaco.

Questo fenomeno è particolarmente diffuso nei campus universitari statunitensi.

Uno degli aspetti critici di questo fenomeno è il rischio di abuso e dipendenza. Poiché l’Adderall è un farmaco stimolante, l’uso prolungato o non controllato può portare alla dipendenza, soprattutto se non viene assunto sotto supervisione medica. L’uso improprio, spesso senza una diagnosi di ADHD, può portare non solo a problemi di dipendenza, ma anche a effetti collaterali significativi, come ansia, insonnia, ipertensione e, in casi più gravi, episodi di psicosi.

Prescrizioni in aumento

La pandemia di COVID-19 ha contribuito ulteriormente all’aumento delle prescrizioni di Adderall, anche grazie alla diffusione della telemedicina. Il ricorso a consultazioni online ha reso più facile ottenere prescrizioni per farmaci stimolanti, spesso con una supervisione medica meno stringente rispetto agli incontri faccia a faccia. Questo ha sollevato preoccupazioni riguardo alla possibilità di un uso inappropriato o non adeguatamente monitorato, ampliando il rischio di abuso e dipendenza.

Uno studio recente, guidato dalla psichiatra Lauren Moran del Mass General Brigham di Boston, ha acceso un nuovo campanello d’allarme riguardo agli effetti collaterali dell’Adderall, soprattutto se assunto in dosi elevate. Lo studio ha esaminato pazienti che assumevano dosi superiori a 40 milligrammi al giorno e ha scoperto che il rischio di sviluppare episodi di psicosi o mania era significativamente più alto rispetto a chi assumeva dosi inferiori o non utilizzava il farmaco. Questo effetto avverso diventa particolarmente rilevante nei pazienti vulnerabili, che potrebbero essere più soggetti a condizioni psichiatriche preesistenti o latenti. Ma approfondiamo la questione.

Analisi dei dati sui pazienti

Lo studio ha coinvolto un campione significativo di 1.374 pazienti che hanno vissuto il loro primo episodio di psicosi o mania tra il 2005 e il 2019. I risultati indicano che l’assunzione di Adderall è correlata a un rischio aumentato di psicosi, con un incremento di 5,28 volte rispetto a chi non assumeva il farmaco. Questo dato suggerisce che l’uso continuativo e non monitorato di Adderall può avere conseguenze gravi, sollevando la necessità di un’adeguata sorveglianza clinica. La psicosi, caratterizzata da sintomi come deliri e allucinazioni, rappresenta una manifestazione complessa e debilitante che può aggravarsi con l’assunzione di stimolanti, richiedendo pertanto un’attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio.

Telemedicina e prescrizioni

Un altro punto critico emerso dallo studio riguarda l’aumento delle prescrizioni di Adderall tramite telemedicina, accentuato dalla pandemia. La facilità con cui i pazienti hanno potuto ottenere dosi elevate senza un monitoraggio adeguato dai medici ha sollevato preoccupazioni circa l’uso eccessivo del farmaco. Questa situazione aumentato il rischio di effetti avversi.

Ha inoltre portato a carenze del farmaco per coloro che ne avevano realmente bisogno. L’accesso semplificato a farmaci potenti senza una supervisione adeguata può compromettere la salute mentale dei pazienti.

Cosa che può complicare la gestione di condizioni già complesse come l’ADHD.

Differenze tra Adderall e Ritalin

Farmaci per l’ADHD: Adderall aumenta il rilascio di dopamina, Ritalin ne blocca il riassorbimento, producendo un effetto più modulato

Lo studio ha notato una differenza significativa nel rischio di psicosi tra l’uso di Adderall e Ritalin, un altro farmaco utilizzato per l’ADHD. L’assenza di un aumento di rischio significativo per i pazienti in trattamento con Ritalin suggerisce che i meccanismi d’azione dei due farmaci differiscono sostanzialmente.

Adderall aumenta direttamente il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore implicato nel sistema di ricompensa e nella regolazione dell’umore.

Di contro, il Ritalin ne blocca il riassorbimento, producendo un effetto più modulato.

Questa differenza potrebbe spiegare l’assenza di effetti collaterali gravi associati a Ritalin, richiamando l’attenzione sull’importanza di scegliere il farmaco più appropriato in base alle esigenze individuali del paziente.

Conclusioni e prospettive future

Le conclusioni dello studio di Moran sollevano interrogativi importanti riguardo alla gestione delle prescrizioni di farmaci per l’ADHD, in particolare nei giovani adulti. È essenziale che i medici monitorino attentamente i dosaggi e i possibili effetti collaterali, promuovendo una maggiore consapevolezza dei rischi associati all’uso di Adderall.

Sebbene l’FDA abbia già emesso avvertenze sugli effetti collaterali, lo studio suggerisce che potrebbero essere necessarie ulteriori misure di protezione per i pazienti, in particolare per quelli più vulnerabili.

Inoltre, è necessario continuare a esplorare opzioni terapeutiche alternative e approcci non farmacologici per il trattamento dell’ADHD, al fine di ridurre il rischio di dipendenza e complicazioni.

L’uso responsabile di farmaci come Adderall richiede un equilibrio tra l’efficacia terapeutica e la gestione dei potenziali effetti avversi.

Fonti

Centers for Disease Control and Prevention (CDC)

Moran, L. et al., Mass General Brigham Study, 2024

FDA