Uno studio a dir poco sconcertante ha svelato la presenza di particelle di microplastiche all’interno di ogni placenta umana testata. Anche le arterie presentano le medesime tracce.
Come mai e quali sono i rischi per la salute?
Placenta alle microplastiche: pericoli per il feto
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Placenta come l’ecosistema? Da qualche tempo, immense montagne di rifiuti di plastica si riversano nell’ambiente, contaminando ogni angolo del nostro pianeta, dal Monte Everest agli abissi più remoti degli oceani, fino alla spiaggia di Lanzarote a Tenerife (Canarie).
Le microplastiche (MP), invisibili agli occhi ma onnipresenti nell’ecosistema terrestre, sono diventate un nemico invisibile che minaccia l’integrità stessa della vita sulla Terra.
Le particelle hanno origine da una varietà di fonti, tra cui lo smaltimento di rifiuti plastici, il lavaggio di tessuti sintetici e il degrado di oggetti di plastica più grandi.
Fin qui, nulla di nuovo…
Nessuno avrebbe tuttavia immaginato che anche il nostro corpo potesse ospitare le pericolose particelle. Tanto più la placenta umana, l’organo deputato agli scambi metabolici tra la madre e il feto.
Ebbene, uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Toxicological Sciences, ha analizzato sessantadue campioni di tessuto placentare umano.
Per la ricerca sulla presenza di microplastiche nella placenta umana, gli scienziati dell’Università del New Mexico, guidati dal Prof. Matthew Campen, hanno impiegato sofisticate tecniche analitiche. Hanno altresì utilizzato sostanze chimiche e centrifughe per separare le particelle dal tessuto placentare. Queste ultime sono state poi sottoposte a analisi chimiche per identificare la firma chimica di ciascuna plastica.
Risultato? È emersa una diffusa presenza di PVC, nylon e polietilene: la sostanza con cui sono realizzati i sacchetti e le bottiglie di plastica che utilizziamo ogni giorno.
Sconcertanti poi le concentrazioni: da 6,5 a 790 microgrammi per grammo di tessuto.
Indagini parallele
Parallelamente, uno studio condotto alla Capital Medical University di Pechino, ha applicato una tecnica simile per rilevare microplastiche anche in diciassette campioni di arterie umane.
Le particelle, si sospetta, potrebbero essere collegate a una pericolosa ostruzione dei vasi sanguigni.
Ma non finisce qui. Le microplastiche non si limitano a infestare solo i nostri tessuti placentari e le arterie, ma si possono infiltrare addirittura nel nostro sangue e nel latte materno.
Utile precisare che i primi a identificare la presenza di microplastiche nelle placente umane sono stati gli specialisti dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dell’Università Politecnica delle Marche.
I campioni erano stati prelevati e analizzati da quattro donne sane che avevano avuto gravidanze e parti senza complicazioni nel 2020.
Come fanno a infiltrarsi nel corpo umano?
Attraverso il cibo che mangiamo, l’acqua che beviamo e persino l’aria che respiriamo.
Pericoli per la salute
Ma qual è il reale pericolo che queste microscopiche particelle plastificate rappresentano per la nostra salute?
Stando ai test di laboratorio, le microplastiche possono causare svariati danni alle cellule umane. Depositandosi nei nostri tessuti, sono in grado di scatenare malattie infiammatorie intestinali (IBD) o il cancro al colon, soprattutto tra le persone sotto i 50 anni.
Per intenderci, lo studio ha evidenziato che le persone con IBD presentavano il 50% in più di microplastiche nelle loro feci, un dato che non può essere ignorato.
Gli scienziati hanno sottolineato che le microplastiche possono contenere sostanze chimiche che agiscono come interferenti endocrini, potenzialmente causando effetti dannosi sulla salute umana nel lungo periodo.
A questo punto una domanda sorge spontanea: mentre viaggia attraverso la placenta, la microplastica può raggiungere il bambino tramite il cordone ombelicale? Al momento la risposta è ignota, ma a destare preoccupazione è il breve periodo di tempo durante il quale il tessuto si sviluppa, appena otto mesi. «Altri organi del corpo umano si formano durante periodi di tempo molto più lunghi», ha spiegato il Professor Campen, evidenziando la rapida esposizione dei feti in via di sviluppo a queste particelle potenzialmente dannose.