Un recente studio internazionale ha individuato una mutazione genetica che potrebbe aiutare a prevedere quali pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule rispondono meglio all’immunoterapia. Ciò apre a nuove prospettive per trattamenti più efficaci e personalizzati. La ricerca è stata coordinata dal Dana-Farber Cancer Institute, in collaborazione con l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma.
Tumore polmonare non a piccole cellule
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Il carcinoma polmonare non a piccole cellule è il tipo più comune di tumore del polmone e rappresenta circa l’85% dei casi. Si distingue dal carcinoma polmonare a piccole cellule per le caratteristiche delle cellule cancerogene al microscopio. Le varianti più frequenti sono l’adenocarcinoma, il carcinoma squamocellulare e il carcinoma a grandi cellule.
Tra i fattori di rischio il fumo di sigaretta, ma anche l’esposizione ad agenti cancerogeni ambientali come amianto e radon.
Tra i possibili sintomi tosse persistente, difficoltà respiratorie, respiro sibilante, dolore toracico, raucedine, perdita di peso inspiegabile e presenza di sangue nell’espettorato.
Per la diagnosi si ricorre a radiografia del torace, tomografia computerizzata (TC), biopsia, broncoscopia ed altre tecniche di imaging.
I trattamenti possono essere diversi, a seconda dello stadio della malattia e delle condizioni del paziente.
Tra le opzioni: chirurgia, chemioterapia, radioterapia. In determinati casi si utilizzano farmaci in grado di agire sulle alterazioni molecolari nel tumore. L’immunoterapia stimola il sistema immunitario a riconoscere e attaccare le cellule tumorali.
La rivoluzione dell’immunoterapia
Quindi invece di colpire direttamente il tumore, come fa la chemioterapia, l’immunoterapia agisce sul sistema di difesa del paziente, potenziandone la capacità di distruggere le cellule cancerogene.
Il sistema immunitario interpreta le cellule tumorali come estranee e cerca di eliminarle, ma spesso riescono a sfuggire a questa difesa. L’immunoterapia mira quindi a superare questi meccanismi di elusione e a rafforzare la risposta immunitaria contro il tumore.
Alla luce di queste evidenze, è sempre più utilizzata nel trattamento di diversi tipi di cancro.
Tuttavia non tutti i pazienti ne traggono vantaggio. Pertanto, identificare i fattori che influenzano la risposta a questo tipo di trattamento rimane una sfida fondamentale per l’oncologia di precisione.
La mutazione che aiuta a riconoscere il tumore
Lo studio ha evidenziato come la presenza di una mutazione nel gene DNMT3A, riscontrata in circa il 5% dei pazienti, sia correlata a una risposta più robusta e duratura all’immunoterapia.
Quindi, questa mutazione favorirebbe il riconoscimento del tumore da parte del sistema immunitario. I pazienti con questa alterazione genetica hanno mostrato tassi di risposta quasi doppi rispetto a chi non la possiede, con un miglioramento significativo della sopravvivenza complessiva.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Annals of Oncology, ha coinvolto oltre 1.500 pazienti in centri oncologici di eccellenza internazionali, tra cui strutture negli Stati Uniti, in Francia e Italia.
Fonti: Rai News; Osservatorio Nazionale Amianto.