Spesso alcune infezioni batteriche sviluppano una forte antibiotico-resistenza, nonostante l’antibiogramma abbia individuato un farmaco specifico. La conseguenza primaria è la cronicizzazione dell’infezione, con tutto ciò che segue a livello fisico e psicologico. Questo è il caso di una paziente di 62 anni con infezione resistente agli antibiotici alla protesi dell’anca. La donna si è trovata per anni a camminare con le stampelle, subire forti dolori e tentare cure non risolutive. Tuttavia, è arrivata la svolta per lei con la fagoterapia, o terapia fagica, che le ha permesso di tornare a camminare senza supporti. È la prima in Italia a essere sottoposta a tale trattamento, basato sull’utilizzo di virus, chiamati fagi o batteriofagi. Uccidendo solo i batteri, senza provocare danni all’essere umano, questi virus potrebbero diventare una nuova potente arma contro i batteri resistenti.
Terapia fagica: prima paziente curata
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I ricercatori delle Università di Tor Vergata a Roma e di Pisa hanno condotto lo studio sulla 62enne. La donna soffriva da anni di un’infezione della protesi all’anca provocata dal batterio Pseudomonas aeruginosa. Si tratta di uno dei patogeni più aggressivi e con massima priorità, secondo la “lista nera” dell’Oms. Gli scienziati hanno messo a punto e testato la terapia con la collaborazione di istituti esteri. Infatti il fago, provato sulla paziente insieme a un antibiotico già assunto dalla donna, proviene dalla banca dell’Istituto George Eliava di Tbilisi, in Georgia. Grazie a questo trattamento, l’infezione è stata debellata e la paziente non presenta problemi da più di due anni. I risultati ottenuti sono stati pubblicati sulla rivista Open Forum Infectious Diseases, sebbene siano iniziali ma promettenti.
Novella Cesta, ricercatrice di Tor Vergata e prima autrice del lavoro, afferma: «Il trattamento scelto ha finalmente permesso di eradicare l’infezione. A distanza di due anni e mezzo, l’infezione non si è ripresentata e la paziente, che era in cura da anni senza risolvere il problema, sta bene». La sperimentazione è avvenuta anche in laboratorio con ottimi risultati. «Questa prova ha permesso di verificare il meccanismo d’azione e l’efficacia del fago contro un ceppo specifico». Queste le parole di Mariagrazia Di Luca, microbiologa dell’Università di Pisa e co-fondatrice della startup Fagoterapia LAB.
«Si tratta di una nuova strategia, una strada promettente», afferma Massimo Andreoni, direttore scientifico della SIMIT e direttore della Uoc Malattie Infettive del Policlinico Tor Vergata. «A mio avviso bisogna continuare a percorrerla. Anche nel caso degli antibiotici più innovativi si possono rapidamente sviluppare resistenze. È importante, per questo, combinare più strategie, fra cui la fagoterapia, per ottenere risultati efficaci». La struttura particolare di questi virus permette loro di penetrare solo nelle cellule dei batteri senza intaccare quelle umane.
Possibili beneficiari della terapia fagica
I ricercatori puntano a testare e utilizzare i batteriofagi in pazienti con problematiche importanti, soprattutto infezioni che non rispondono alle cure tradizionali. «Per esempio potrebbero essere utili nelle infezioni polmonari croniche in individui predisposti. Pensiamo a pazienti con fibrosi cistica, oppure nelle infezioni urinarie, quali prostatiti croniche associate a una disabilità e a un carico assistenziale elevato». Con questa affermazione prosegue Novella Cesta.
In realtà i batteriofagi potrebbero trovare impiego anche in ambiti differenti rispetto alle infezioni resistenti. Per esempio, sono studiati anche nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, come il morbo di Chron e la rettocolite ulcerosa In queste patologie la flora batterica ha un ruolo importante e può diventare un obiettivo terapeutico.
La specificità dei batteriofagi
I ricercatori puntano a studiare la terapia su un gruppo più ampio, ma ci sono problemi normativi nazionali sull’uso. In Italia il trattamento fagico non è ancora stato approvato. Sebbene i batteriofagi sono abbondanti in natura, gli antibiotici li hanno sorpassati per motivi pratici. Infatti, se i farmaci possono essere ad ampio spettro, i fagi sono molto specifici. Agiscono infatti su una singola specie o su un singolo ceppo batterico. Quindi il batteriofago diventa necessariamente efficace su un’infezione anziché su un’altra. Perciò la terapia in questione è da intendere come “trattamento personalizzato”. Questo rende più complesso il suo sviluppo.