Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ed altre fonti, circa una persona su 5.000–15.000 muore ogni anno per suicidio nel mondo.
La tematica del suicidio è estremamente delicata e complessa, ed è spesso circondato pregiudizi. Ciò influenza il modo in cui la società lo comprende e lo affronta. Uno dei luoghi comuni più diffusi riguardo al suicidio è l’idea che le persone che hanno intenzione di suicidarsi non ne parlino mai. Questo mito, purtroppo, può portare alla sottovalutazione dei segnali di allarme e a non intervenire in modo tempestivo, esponendo le persone vulnerabili a rischi significativi.
Sono numerosi gli studi e ricerche psicologiche, sociologiche e psichiatriche hanno messo in luce che, contrariamente a quanto affermato da questo luogo comune, molte persone che si suicidano esprimono in vari modi le loro intenzioni. Questi segnali possono essere espliciti o sottili, verbali o non verbali.
Una significativa percentuale di individui che compiono il suicidio ha esternato le proprie intenzioni in modo diretto o indiretto.
Motivazioni generiche psicologiche sottese
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Non è possibile in un solo articolo descrivere in modo esaustivo origini e motivazioni. Tuttavia in linea generale Il suicidio è il gesto autolesionistico più estremo, tipico in condizioni di grave disagio o malessere psichico. Spesso, ma non solo, può avvenire tra individui affetti da grave depressione e/o disturbi mentali di tipo psicotico. Può essere determinato da motivazioni strettamente personali, ovvero eventi quali particolari situazioni esistenziali sfavorevoli, gravi condizioni economiche e sociali, abusi fisici e psichici, delusioni amorose, condizioni di salute o di non accettazione del proprio corpo, molestie familiari e non, derisioni, bullismo e cyberbullismo.
Sociologia
Il suicidio è stato oggetto di studio approfondito del sociologo francese Émile Durkheim, che ne ha individuato quattro tipi connessi a vari gradi d’integrazione sociale. Questi sono il suicidio altruistico, egoistico, anomico e fatalista.
Il suicidio egoistico deriva dal fatto che l’individuo è troppo poco integrato nella società. Secondo lo studioso in un gruppo altamente integrato, l’obiettivo dell’individuo non è solo se stesso, ma ha anche il gruppo come obiettivo. In un gruppo collettivo si scambiano emozioni, pensieri e idee e si può ottenere supporto morale quando necessario. Ciò consente all’individuo di acquisire forza per la vita e di non doversi preoccupare così tanto se non si raggiungono tutti gli obiettivi individuali. Se, al contrario, l’individualismo prende il sopravvento, questo può innescare il suicidio. Le persone hanno infatti bisogno di qualcosa che è più grande di loro, il che dà senso alla vita.
Il suicidio altruistico è molto insolito nelle culture moderne ma era più comune prima e nelle società primitive ed avviene per motivazioni rituali e culturali.
Il suicidio anomico assomiglia al suicidio egoistico ma è causato dal fatto che le persone sono meno socialmente regolate. Ha a che fare con motivazioni economiche ed aspettative sulla base di aspettative morali e norme.
Suicidologia
La suicidologia è la disciplina dedicata allo studio scientifico del suicidio e alla sua prevenzione. Il termine ( fu utilizzato per la prima volta nel 1964 da Edwin Sheneidman. La suicidologia diversamente da altre scienze comportamentiste non include meramente lo studio del suicidio, ma enfatizza la prevenzione dell’atto letale.
Gli studi scientifici nel corso degli anni sono andati molto ben oltre la ricerca di Durkheim.
Maurizio Pompili è un suicidologo insignito del premio Shneidman Award dall’American Association of Suicidology. Pompili è parte del dipartimento di psichiatria dell’ospedale S. Andrea di Roma ed afferma che nel mondo ogni 40 secondi si verifica un suicidio e ogni tre secondi si registra un tentativo di suicidio.
Segnala inoltre un’allarmante crescita dei tassi di suicidio tra i giovani. Nel saggio su Psychomedia che omaggiamo qui inserendo alcuni pezzi come fonte, introduce Shneidman, il quale afferma che l‘ingrediente base del suicidio è il dolore mentale insopportabile. Suggerisce le domande chiave che possono essere rivolte ad una persona che vuol commettere il suicidio sono “Dove senti dolore?” e “Come posso aiutarti?”. Se il ruolo del suicidio è quello di porre fine ad un insopportabile dolore mentale, allora il compito principale di chi deve occuparsi di un individuo suicida che soffre a tal punto è quello di alleviare questo dolore. Ci sono bisogni psicologici con i quali l’individuo vive e che definiscono la sua personalitá e bisogni psicologici che quando sono frustrati inducono l’individuo a scegliere di morire. Potremmo dire che si tratta della frustrazione di bisogni vitali; questi bisogni psicologici includono il bisogno di raggiungere qualche obiettivo come affiliarsi ad un amico o ad un gruppo di persone, ottenere autonomia, opporsi a qualcosa, imporsi su qualcuno e il bisogno di essere accettati e compresi e ricevere conforto.
Il cliché del celatore
Posizione profondamente radicata nella cultura popolare, nei media e, purtroppo, anche nella formazione di alcuni professionisti. Una preconcezione secondo la quale i tentativi di suicidio o i suicidi stessi si configurano come “colpi di scena” inaspettati. In realtà, molte persone che sono sopravvissute a tentativi di suicidio riferiscono che i segnali di allarme erano presenti, anche se non sempre riconosciuti in modo tempestivo.
“Esiste molta ignoranza sul suicidio. Non solo la gente comune ma molti operatori della salute spesso si riferiscono all’argomento con termini e modalita’ improprie. Un falso mito sul suicidio riguarda il fatto che le persone che commettono il suicidio raramente ne parlino. Queste persone invece danno spesso dei segnali verbali della loro intenzione. Ci sono studi che riportano che almeno 2/3 degli individui suicidi avevano espresso precedentemente la loro intenzione. Secondo una visione superficiale, le persone suicide sono determinate a morire. In realta’, molte persone sono indecise sul vivere o sul morire, e “scommettono” con la morte, lasciando agli altri il compito di salvarli. Quasi nessuno commette il suicidio senza lasciar sapere agli altri come si sente.” (Pompili e Tatarelli, 2007).
Studi scientifici e psicologici: parlarne è più frequente di quanto si pensi
Nella ricerca “The communication of suicidal intentions: a meta-analysis” sono stati pubblicati i risultati di 36 studi su una popolazione di 14.601 persone che si sono uccise.
Gli autori oltre al già citato Pompili, M Belvedere Murri, S Patti, M Innamorati, D.Lester , P. Girardi , M Amore.
Secondo i risultati 44,5% dei soggetti aveva comunicato la volontà di morire attraverso affermazioni verbali. Gli individui con intenzioni suicidarie forniscono molto spesso indizi del proprio disagio.
“Tra i miti spesso citati sul suicidio c’è quello secondo cui “le persone che parlano di suicidarsi raramente muoiono per suicidio”, ma le prove sembrano contraddire questa affermazione. L’obiettivo di questo studio era di condurre una meta-analisi di studi che riportavano una prevalenza di comunicazione sul suicidio (SC) e di esaminare l’accuratezza diagnostica della SC nei confronti del suicidio nei report caso-controllo.”
Ascoltare attivamente
Le persone che sono a rischio di suicidio potrebbero non dire esplicitamente “voglio morire”, ma potrebbero esprimere frasi come “non vedo via d’uscita” o “non so quanto ancora posso sopportare questo dolore”. Queste frasi devono essere prese sul serio, e la persona dovrebbe essere incoraggiata a esprimete apertamente dei suoi sentimenti, senza paura di giudizio.
Il lavoro di Samaritans Onlus
Su google, digitando la parola suicidio o tematiche affine compare la scritta “Possiamo aiutarti?” Ed il numero 06 77208977 Samaritan Onlus, associazione il cui primo obiettivo è la prevenzione del suicidio. Nata in Inghilterra nel 1953, opera in circa 40 paesi del mondo. Samaritans Onlus è attiva in Italia dal 1980.