La sclerosi laterale amiotrofica (SLA), conosciuta anche come malattia di Lou Gehrig, è una delle malattie neurodegenerative più gravi e devastanti. Recenti studi offrono nuove prospettive per il trattamento, focalizzandosi su un enzima chiamato EGLN2 come possibile bersaglio terapeutico. Questa scoperta, pubblicata su Cell Reports, potrebbe rappresentare un passo significativo verso la gestione e, potenzialmente, la cura di questa malattia

Che cos’è la SLA?

La SLA è anche nota come malattia di Lou Gehrig, in onore del celebre giocatore di baseball americano che ne era affetto

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa grave e progressiva che colpisce i motoneuroni, le cellule nervose responsabili della trasmissione degli impulsi elettrici dal cervello e dal midollo spinale ai muscoli. La degenerazione di questi neuroni comporta una crescente debolezza muscolare, che porta a difficoltà motorie e, infine, a paralisi. Con l’avanzare della malattia, i pazienti possono sperimentare problemi respiratori significativi a causa del coinvolgimento dei muscoli respiratori

Storia e incidenza

La SLA fu identificata per la prima volta nel 1869 dal neurologo francese Jean-Martin Charcot.

Lo specialista, descrisse la malattia come una condizione caratterizzata dalla perdita dei motoneuroni e dalla conseguente debolezza muscolare. Charcot è considerato il padre della neurologia moderna per i suoi contributi fondamentali nella comprensione delle malattie neurodegenerative.

A livello globale, la patologia ha una prevalenza di circa 5-7 casi ogni 100mila abitanti, e si stima che circa 400mila persone vivano con questa condizione. La prevalenza è più alta nei Paesi sviluppati, ma il motivo di tale distribuzione non è completamente chiaro. Alcune teorie suggeriscono che fattori ambientali e stili di vita potrebbero contribuire a questa differenza, ma ulteriori ricerche sono necessarie per comprendere meglio queste variabili.

Sopravvivenza media

La sopravvivenza media dopo la diagnosi è compresa tra i 2 e i 5 anni, sebbene alcuni pazienti possano vivere più a lungo grazie ai progressi nelle cure e nella gestione della malattia. La variabilità nella durata della vita può dipendere da numerosi fattori, tra cui l’età all’insorgenza dei sintomi (di solito si manifesta tra i 40 e i 70 anni) e la rapidità con cui la malattia progredisce.

Sintomi e diagnosi

I primi sintomi della SLA possono essere sottili e includere debolezza muscolare generalizzata, crampi, e rigidità, difficoltà nella deglutizione, e problemi nella produzione del linguaggio. Man mano che la malattia progredisce, i sintomi diventano più severi, con la manifestazione di paralisi parziale o totale e problemi respiratori, che possono compromettere significativamente la qualità della vita.

La diagnosi si basa su un insieme di esami clinici. Tra questi vi sono esami del sangue per escludere altre condizioni, elettromiografia (EMG) per valutare l’attività elettrica nei muscoli e nella conduzione nervosa, e risonanza magnetica (RM) per escludere altre patologie del sistema nervoso centrale che potrebbero simulare i sintomi della SLA. Poiché non esistono esami specifici che possano confermare la SLA in modo definitivo, la diagnosi viene effettuata attraverso un processo di esclusione e la valutazione clinica complessiva del paziente.

Trattamenti attuali della SLA

Attualmente, non esistono cure definitive per la SLA, e i trattamenti disponibili mirano principalmente a rallentare la progressione della malattia e a migliorare la qualità della vita del paziente. Due dei principali farmaci utilizzati sono il riluzolo e l’edaravone. Il riluzolo è un farmaco che può ritardare la progressione della malattia rallentando la degenerazione dei motoneuroni. L’edaravone, approvato più recentemente, ha dimostrato di avere un effetto limitato ma positivo nella riduzione del declino funzionale.

Le terapie attuali si concentrano anche sulla gestione dei sintomi e sul supporto nutrizionale e respiratorio. I pazienti possono beneficiare di interventi fisioterapici per mantenere la mobilità e la funzionalità muscolare, nonché di assistenza respiratoria per affrontare le difficoltà man mano che la malattia avanza. Supporto psicologico e riabilitazione logopedica sono altre componenti importanti del trattamento per migliorare la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie.

Piccola curiosità: perché è anche nota come malattia di Lou Gehrig

La patologia è comunemente conosciuta anche come malattia di Lou Gehrig, in onore del celebre giocatore di baseball americano.

Gehrig, un fuoriclasse degli anni ’20 e ’30 dei New York Yankees, fu diagnosticato con questa malattia nel 1939, poco prima di annunciare il suo ritiro dallo sport. Da allora, la sua condizione ha attirato l’attenzione pubblica e ha contribuito a portare la SLA alla ribalta.

L’atleta, noto per la sua forza e resistenza, si rese conto di avere problemi di coordinazione e debolezza muscolare, che alla fine gli impedirono di continuare la carriera.

Il suo annuncio di ritiro e il discorso emozionante che fece il giorno in cui lasciò il baseball, definito il “discorso del giorno più fortunato della mia vita“, rivelarono al pubblico la gravità della SLA e la sua impatto devastante.

Nuove scoperte nella ricerca sulla SLA

Recenti ricerche condotte dal laboratorio del Prof. Peter Carmeliet del VIB-KU Leuven Center for Cancer Biology di Lovano, in Belgio, si sono focalizzate sull’ EGLN2. Questo enzima, un sensore metabolico, regola infiammazione e metabolismo cellulare, ed è stato osservato che la sua inibizione può proteggere le cellule da stress ossidativo.

Il team di ricerca, in collaborazione con il laboratorio del Prof. Bart De Strooper e guidato da Christine Germeys, ha analizzato gli effetti di EGLN2 in modelli di pesce zebra e topo, e in cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) da pazienti con SLA.

I risultati indicano che la riduzione dell’espressione di EGLN2 può proteggere i motoneuroni e migliorare i modelli della SLA.

«Abbiamo usato un approccio multi-modello per indagare gli effetti di EGLN2 in diversi tipi di cellule… Questo approccio ci ha fornito una visione dettagliata di come EGLN2 influenza la progressione della malattia». A dichiararlo, il dott. Germeys.

Prospettive future

Il Prof. Ludo Van Den Bosch sottolinea che «il targeting di EGLN2 potrebbe rappresentare una strategia terapeutica promettente per la SLA». Tuttavia, è necessario proseguire con ulteriori ricerche per confermare questi risultati e sviluppare trattamenti basati su queste scoperte. I risultati suggeriscono che modulare EGLN2 potrebbe ridurre l’infiammazione e rallentare la progressione della SLA, offrendo nuove speranze per i pazienti e le loro famiglie.