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Una nuova ricerca pubblicata su “Science” propone un cambiamento radicale diparadigma più vantaggioso nello studio degli organismi viventi. Paradigma che contrasta con gli studi condotti ai tempi di Darwin, quando piante, animali ed esseri umani sono stati studiati come entità autonome. Con la loro fisiologia e la loro vita determinate principalmente dai loro geni.

Lo studio è frutto dell’Holobiont Biology Network, un pool scientifico che include docenti di diverse Università. Tra queste Penn State University, University of Copenaghen, NTNU University Museum, University of Pittsburgh e National University of Colombia.

Al team di ricerca internazionale ha partecipato, per l’Università di Padova, la professoressa Maria Elena Martino del Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’ateneo patavino.

Il titolo della ricerca è “The disciplinary matrix of holobiont biology. Uniting life’s seen and unseen realms guides a conceptual advance in research”.

Considerare due concetti fondamentali: olobionte e microbioma

Per comprendere meglio la portata di questa nuova prospettiva concettuale è utile rifarsi a due concetti: olobionte e microbioma.

L’olobionte è un insieme di un ospite e di molte altre specie che vivono al suo interno o intorno ad esso.

Il microbioma è l’insieme del patrimonio genetico e delle interazioni ambientali della totalità dei microrganismi di un ambiente definito.

La pubblicazione esplora la biologia degli olobionti vista come un’aggregazione di cellule dell’ospite e di una vasta comunità di microorganismi simbiotici. Microrganismi che vivono in stretta interazione e sinergia.

Questo modello sottolinea l’importanza di studiare e analizzare le interazioni per comprendere a fondo la vita degli organismi, la salute e l’insorgenza di malattie.

Ologenoma umano, predittore più efficace del genoma

La ricerca evidenzia in particolare come la simbiosi tra ospiti animali e vegetali e i loro microbiomi influisca su funzioni biologiche fondamentali come l’immunità. Influisce anche sulla crescita, la resistenza ai patogeni e l’adattamento agli stress ambientali. Ad esempio, se l’organismo è un olobionte, il suo genoma sarà un ologenoma. Ovvero l’insieme del genoma dell’organismo ospite e del genoma dei microrganismi che lo abitano.

L’ologenoma umano, ossia la combinazione del genoma umano e del microbioma intestinale, si è rivelato in diversi studi scientifici un predittore più efficace. Ciò rispetto all’analisi del solo genoma umano per diversi tratti, tra cui l’indice di massa corporea, il colesterolo HDL, il rischio di cancro al colon. O l’insorgenza di diverse malattie metaboliche, i livelli di glucosio a digiuno, caratteristiche fisiche come la circonferenza dei fianchi e molti altri.

La salute dipende da complesse interazioni biologiche

Oggi, l’approccio principalmente utilizzato per prevedere l’insorgenza di malattie e valutare lo stato di salute umano e animale è l’analisi del DNA tramite test genetici. Questo metodo si basa sul sequenziamento del genoma per identificare mutazioni o varianti genetiche associate a specifiche patologie. Tuttavia, questo metodo non considera l’aspetto multifattoriale. Esso contribuisce allo sviluppo di malattie e alle condizioni fisiologiche di un organismo, includendo fattori non genetici come l’identità microbica e il ruolo del microbioma. «La biologia degli olobionti ci permette di capire meglio l’interdipendenza tra l’ospite e il suo microbioma, superando l’approccio tradizionale che studia gli organismi come entità isolate. Questo nuovo paradigma offre una visione innovativa su come la salute e la resilienza degli ecosistemi dipendano da complesse interazioni biologiche». Così Maria Elena Martino co-autrice dellostudio. «Questa ottica scientifica apre nuove strade per la conservazione della biodiversità, la salute ambientale e la sostenibilità agroecologica».

Adottare un approccio olistico in medicina

L’approccio olistico in medicina umana e animale consente di affrontare le problematiche integrando diversi metodi e soluzioni, massimizzandone così l’efficacia.

«Ad esempio, sul fronte della biodiversità, si stanno sviluppando strategie globali per le barriere coralline – sottolinea Martinoche prevedono la diffusione di batteri probiotici. Essi sono capaci di proteggere i coralli e gli ecosistemi dagli effetti devastanti del cambiamento climatico. Contribuendo a invertire il fenomeno dello sbiancamento e la perdita di biodiversità. Questo approccio, che sfrutta il potenziale benefico dei microbiomi, si può applicare quindi a diversi contesti, dalla medicina umana e animale fino all’agricoltura».

L’ereditarietà mancante, un aspetto cruciale

Un aspetto cruciale della pubblicazione è la risposta che si potrebbe dare al “problema dell’ereditarietà mancante”. Quest’ultimo si riferisce alla discrepanza tra l’ereditabilità stimata di alcuni tratti complessi (come altezza, rischio di malattie, ecc.) e la variazione genetica spiegata dalle varianti note. In tali tratti, gli studi genetici spiegano solo una parte della variazione osservata, lasciando una porzione significativa ancora non giustificata dalle varianti genetiche identificate. Tale porzione è in gran parte determinata dal ruolo del microbiota. Questo, interagendo con il genoma ospite e influenzando funzioni fisiologiche importanti, contribuisce significativamente all’ereditarietà di tali tratti.

Valutare l’importanza di banche dati ologenomiche globali

Il modello ologenomico che considera congiuntamente il DNA dell’ospite con quello del microbioma permette di spiegare una maggiore parte della variabilità fenotipica. Offrendo una comprensione più approfondita di tratti come la resistenza ai patogeni, l’adattabilità ai cambiamenti climatici e la resilienza a perturbazioni ambientali.

«Lo studio – conclude Maria Elena Martinosottolinea inoltre l’importanza di banche dati ologenomiche globali, come l’Earth Hologenome Initiative. Queste catalogano e standardizzano le informazioni sul genoma combinato di ospiti e microbi. Si tratta di piattaforme che rappresentano un’opportunità unica per la ricerca scientifica. Ed anche per la formulazione di politiche ambientali basate su dati concreti, favorendo una gestione ecosistemica più informata e sostenibile. Questa ricerca segna una pietra miliare nella comprensione della simbiosi e dell’interconnessione della vita sulla Terra».

Fonte: Università di Padova