Finora si ignorava il perché nel lupus eritematoso sistemico (LES) il rischio di eventi cardiovascolari fosse molto elevato. Ora, uno studio pubblicato su Arthritis & Rheumatology ne chiarisce le cause con dati clinici, tissutali e di laboratorio.
La ricerca si è svolta in collaborazione tra Giacomo Emmi, immunologo e docente di Medicina interna dell’Università di Trieste, e alcuni gruppi di ricerca. Tra questi il gruppo di Matteo Becatti, di Claudia Fiorillo e di Domenico Prisco dell’Università di Firenze.
LES, malattia autoimmune sistemica che può colpire più organi
Indice dei contenuti
Il LES è una malattia autoimmune sistemica che può colpire diversi organi.
In Italia riguarda oltre 60 mila persone, soprattutto donne in età fertile.
Per chi ne è affetto, il rischio di trombosi arteriosa e venosa può essere da due a dieci volte superiore rispetto alla popolazione generale. Non è solo questione di colesterolo o pressione, ma a pesare sarebbe l’infiammazione cronica della malattia.
Al centro ci sarebbe lo stress ossidativo, cioè lo squilibrio tra sostanze ossidanti prodotte dalle nostre cellule e le difese antiossidanti che dovrebbero neutralizzarle.
Nei pazienti con LES, in particolare, alcune cellule di difesa – i neutrofili – risultano più attive del normale e alimentano questo squilibrio.
Lo studio ha coinvolto 144 pazienti affetti da lupus
In un ambiente così “ossidante” cambia il comportamento del fibrinogeno, la proteina che fa da rete al coagulo. Le fibre che si formano diventano più fitte e poco permeabili, e i coaguli risultano più difficili da sciogliere. È il passaggio che collega direttamente infiammazione e rischio trombotico.
Lo studio ha coinvolto 144 pazienti adulti con LES e 90 soggetti sani come controllo. Le analisi del sangue documentano lo stress ossidativo più alto nei pazienti e la correlazione con l’attività di malattia.
Le osservazioni nei tessuti confermano il quadro. Nelle biopsie renali di persone con nefrite lupica attiva (ovvero infiammazione dei reni) compaiono i segni dello stesso meccanismo proprio dove l’infiammazione è più intensa. A dimostrazione che non si tratta solo di un fenomeno circolante ma che il danno si manifesta anche a livello d’organo.
Future terapie mirate a modulare i circuiti ossidativi
Per verificare che il legame fosse davvero causale, il gruppo ha riprodotto il fenomeno in laboratorio. Quando il fibrinogeno viene esposto a un ambiente ossidante, i coaguli diventano più compatti e resistenti; quando si aggiunge un antiossidante di riferimento, l’effetto scompare. La sequenza risulta così chiara: più infiammazione → più stress ossidativo → fibrinogeno alterato → coaguli più difficili da dissolvere.
«Questi risultati forniscono una comprensione più profonda del legame tra la malattia autoimmune e le complicanze cardiovascolari». Così Giacomo Emmi, docente Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute dell’Ateneo triestino, Direttore dell’UCO Medicina Clinica e Coordinatore Scientifico dell’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina. «Lo stress ossidativo emerge come un nuovo potenziale bersaglio terapeutico. Accanto al controllo dei fattori di rischio tradizionali e dell’attività della malattia, future terapie potrebbero essere mirate a modulare questi circuiti ossidativi. Ciò per proteggere in modo più efficace il cuore e i vasi sanguigni dei pazienti affetti da Lupus».
Fonte: Università di Trieste
