Nel 2024, tracce del poliovirus sono state individuate nelle acque reflue di cinque Paesi europei: Finlandia, Germania, Polonia, Spagna e Regno Unito. Dal 2014, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la considera ancora un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale
Poliomielite: un virus che attacca il sistema nervoso
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La poliomielite è una malattia infettiva virale che colpisce il sistema nervoso centrale, attaccando i neuroni motori del midollo spinale. Le conseguenze neurologiche possono manifestarsi con una paralisi flaccida (o periferica o atrofica), che colpisce prevalentemente gli arti inferiori, ma nei casi più gravi può estendersi a tutto il corpo, compromettendo funzioni vitali come la respirazione e la deglutizione. La forma più severa, detta polio bulbare, interessa i muscoli innervati dai nervi craniali, rendendo necessaria la ventilazione assistita.
La trasmissione del virus avviene per via oro-fecale, attraverso l’ingestione di acqua o alimenti contaminati, oppure per via aerea, tramite le goccioline di saliva emesse con tosse e starnuti. Sebbene i bambini sotto i cinque anni siano i più vulnerabili, la poliomielite può colpire individui di qualsiasi età. Non esiste una cura definitiva, e l’unico strumento efficace per contrastarla rimane la vaccinazione preventiva.
Dalla scoperta alla lotta contro la poliomielite
Sebbene il virus fosse noto da secoli, la sua prima descrizione dettagliata apparve nel 1789, quando il medico britannico Michael Underwood osservò una patologia che colpiva prevalentemente i bambini. Tuttavia, la poliomielite rimase relativamente rara fino al XIX secolo, quando il miglioramento delle condizioni igieniche, paradossalmente, favorì la sua diffusione. In passato, il poliovirus si propagava con facilità nelle società con scarsa igiene, e le persone sviluppavano un’immunità naturale fin dalla prima infanzia. Con l’urbanizzazione e il progresso sanitario, le nuove generazioni entrarono in contatto con il virus in età più avanzata, senza un’adeguata protezione immunitaria, e le grandi epidemie iniziarono a manifestarsi.
Nel 1908, gli scienziati Karl Landsteiner ed Erwin Popper identificarono per la prima volta il poliovirus come agente responsabile della malattia.
Durante il XX secolo, la poliomielite si affermò come una delle malattie più temute al mondo. Le epidemie dilagarono negli anni ’50, contagiando decine di migliaia di persone ogni anno solo negli Stati Uniti. Nel 1952, il Paese registrò oltre 57mila infezioni, mentre in Italia il numero di casi superò gli 8.000 nel 1958. I medici ricoverarono i pazienti più gravi, colpiti dalla forma bulbare, nei polmoni d’acciaio, enormi macchinari che permettevano loro di respirare artificialmente.
Questa emergenza spinse la comunità scientifica a dedicarsi con determinazione alla ricerca di un vaccino efficace.
L’arma della vaccinazione e la speranza dell’eradicazione
Nel 1955, Jonas Salk sviluppò il primo vaccino a virus inattivato (IPV), che si dimostrò estremamente efficace nel ridurre i contagi. Tuttavia, essendo somministrato tramite iniezione, il suo impatto sulla trasmissione rimase limitato.
Fu solo nel 1961, con l’introduzione del vaccino orale (OPV) di Albert Sabin, che la lotta alla poliomielite ebbe una svolta decisiva. Più semplice da somministrare e capace di generare un’immunità diffusa, il vaccino di Sabin rese possibile l’immunizzazione di massa su scala globale.
Grazie a queste campagne vaccinali, la poliomielite iniziò rapidamente a scomparire. Nel 1979, gli Stati Uniti dichiararono l’eradicazione della malattia sul loro territorio, mentre in Italia l’ultimo caso venne notificato nel 1982.
Nel 1988, l’OMS lanciò la Global Polio Eradication Initiative (GPEI), con l’obiettivo di eliminare definitivamente il virus entro il 2000. Sebbene non abbia raggiunto questa meta nei tempi previsti, la comunità internazionale è riuscita a eradicare la malattia in gran parte del pianeta, dichiarando l’Europa ufficialmente libera dalla polio dal 2002.
Un pericolo ancora presente: il virus torna in Europa
Tuttavia, la poliomielite non è mai scomparsa del tutto. La malattia resta endemica in Pakistan e Afghanistan, dove conflitti, diffidenza nei confronti dei vaccini e difficoltà logistiche impediscono una copertura vaccinale completa.
Negli ultimi anni sono emersi anche casi di poliovirus derivato dal vaccino (cVDPV), una forma mutata del virus attenuato presente nel vaccino OPV, che può infettare individui non vaccinati e provocare epidemie in comunità con bassa copertura immunitaria.
L’allarme lanciato nel 2024, con il ritrovamento del virus nelle acque reflue di diverse città europee – tra cui Bonn, Colonia, Dresda, Düsseldorf, Amburgo, Mainz e Monaco in Germania – dimostra quanto sia fondamentale non abbassare la guardia.
Le analisi genetiche condotte dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno rivelato che i campioni trovati nelle acque reflue europee sono geneticamente correlati a un ceppo individuato per la prima volta nel 2020 in Nigeria. La rilevazione frequente del virus suggerisce una possibile trasmissione attiva del poliovirus in Europa, sebbene finora nessuno abbia segnalato casi clinici.
Sorveglianza e vaccinazione: le armi contro il ritorno della polio
Oggi, il monitoraggio ambientale gioca un ruolo cruciale nella prevenzione. Analizzare la presenza del poliovirus nelle acque reflue consente di identificare potenziali focolai prima che emergano casi clinici, permettendo interventi tempestivi per rafforzare la vaccinazione nelle aree a rischio.
Allo stesso tempo, è essenziale mantenere alta la copertura vaccinale. Oggi, la disinformazione e il crescente scetticismo rischiano di vanificare i progressi raggiun
l rischio di una nuova diffusione resta dunque reale. Solo un impegno costante nella vaccinazione e nella sorveglianza ambientale potrà impedire che il virus torni a minacciare la salute pubblica su larga scala.