La magistratura contabile è intervenuta sulla grave crisi che colpisce il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), incentrato sulla tutela del diritto costituzionalmente garantito. Il rischio maggiore, oggi, è avere tanti diversi sistemi sanitari regionali, sempre più basati sulle regole del libero mercato. Il SSN, dopo aver sostenuto l’impatto della pandemia, soffre di una crisi sistemica accentuata anche dalla “fuga” del personale sanitario, non adeguatamente remunerato. 

“Non si può sottacere che la grave crisi di sostenibilità del sistema sanitario nazionale non garantisce più alla popolazione un’effettiva equità di accesso alle prestazioni sanitarie. Con intuibili conseguenze sulla salute delle persone e pesante aumento della spesa privata”.

È il quadro delineato dalla Corte dei Conti sul SSN durante la cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario 2024.

Urgente mettere in campo investimenti

Secondo la Corte, alla crisi sistemica del SSN si dovrebbe rispondere, a livello nazionale e regionale, con decisioni e investimenti non più rinviabili. Investimenti da attuarsi nei campi dell’organizzazione, delle strutture, della formazione e delle retribuzioni per ridare lustro alla professione medica. Questa, assieme a quella degli insegnanti, misura il senso civile di un Paese.

“La spesa sanitaria – afferma la Corte – è oggi, dopo la difficile fase pandemica, alla ricerca di nuovi equilibri. Nel 2022, in termini di contabilità nazionale, le spesa ha segnato una riduzione in termini di prodotto. E assume, nelle previsioni del governo nel DEF 2023, un profilo in continua flessione anche nel prossimo triennio.

Permangono numerose criticità specialmente al Sud

Il monitoraggio dei LEA relativi all’esercizio 2021 indica il permanere di criticità, soprattutto nelle regioni meridionali.

“Continuano a rilevarsi valori estremamente contenuti – prosegue la Corte – ad esempio, per gli screening oncologici effettuati nelle regioni in Piano di Rientro. Solo parziale nel 2022 è stato il recupero delle prestazioni non effettuate durante la pandemia. E il tasso di pazienti trattati in Assistenza domiciliare integrata (Adi) resta contenuto. Resta eccessivo in tutto il paese (ma soprattutto al sud) il ricorso ai parti cesarei nelle strutture con un limitato numero di parti l’anno. Non è stato raggiunto, nella maggior parte delle regioni meridionali, l’obiettivo di interventi tempestivi per alcune patologie. Tra questi la rottura del femore nei pazienti anziani, in cui gli esiti dell’operazione dipendono in modo cruciale dalla brevità dei tempi intercorrenti dal ricovero”.

Rete territoriale inadeguata e carenze di organico

La carenza di personale sanitario costituisce oggi uno dei problemi maggiori della sanità pubblica. Ad essa si affianca l’inefficienza del territorio, che inevitabilmente affolla i pronto soccorso, dove il personale è risicato. Siamo di fronte a un circolo vizioso da cui è difficile uscire.

“Continuano a segnalarsi – rileva la Corte – situazioni di inefficiente utilizzo delle risorse ospedaliere. E al contempo, una inadeguatezza della rete territoriale, e gli indicatori legati agli accessi ai pronto soccorso che, diminuiti durante la pandemia, sono aumentati nel 2021. Evidenziando come in numerose realtà territoriali gli ospedali siano il principale (e a volte l’unico) punto di riferimento per l’assistenza. Difficoltà che trovano riscontro nel ritardo con cui è stato possibile recuperare le liste d’attesa dei ricoveri e della specialistica ambulatoriale accumulate durante la pandemia. Permangono le carenze di organico e si aggravano le criticità nel funzionamento dei servizi di emergenza e urgenza”.