La frontiera della neuroscienza sta facendo passi da gigante con lo sviluppo di interfacce cervello-computer  in grado di leggere e interpretare i segnali cerebrali. Grazie a questi dispositivi, in futuro, comunicare con i soli pensieri potrebbe diventare realtà. Anche se al momento si è riusciti a identificare solo una manciata di parole e non frasi complete, i dispositivi potrebbero rivoluzionare la comunicazione per chi soffre di disabilità del linguaggio

BCI: interfacce per decodificare il “discorso interno”

Le interfacce cervello-computer potranno decodificare il discorso interno in soggetti che non possono muoversi o parlare

Le interfacce cervello-computer (BCI) stanno trasformando il modo in cui interpretiamo i segnali cerebrali, traducendoli in testo con una velocità impressionante di 62-78 parole al minuto per alcuni individui. Tuttavia, queste tecnologie sono state tradizionalmente addestrate per decodificare il discorso che è almeno parzialmente vocalizzato o mimato.

Un recente studio, segna tuttavia un importante passo avanti in questo campo. Per la prima volta, i ricercatori sono riusciti a decodificare il cosiddetto “discorso interno”. Parliamo cioè delle parole pronunciate all’interno della mente, registrando i segnali dei singoli neuroni del cervello in tempo reale. «È probabilmente lo studio più avanzato finora sulla decodifica del discorso immaginato». Così esordisce Silvia Marchesotti, neuroingegnere dell’Università di Ginevra, Svizzera.

Cerchiamo di capire meglio come funzionano i dispositivi. 

Tecnologia di lettura mentale. Come funzionano le interfacce cervello-computer?

I ricercatori hanno impiantato matrici di piccoli elettrodi nel cervello di due persone con lesioni del midollo spinale. Questi dispositivi sono stati posizionati nel giro sovramarginale (SMG). Parliamo cioè di una regione del cervello non precedentemente esplorata per la decodifica vocale tramite BCI.

Due settimane dopo l’impianto degli array di microelettrodi nel SMG sinistro dei partecipanti, i ricercatori hanno iniziato a raccogliere dati. Hanno addestrato il BCI su sei parole specifiche (campo di battaglia, cowboy, pitone, cucchiaio, nuoto e telefono) e due parole senza senso (nifzig e bindip). «Il punto era vedere se il significato fosse necessario per la rappresentazione», spiega Sarah Wandelt, coautrice dello studio.

Processo di addestramento e decodifica

Per tre giorni, il team ha chiesto a ciascun partecipante di immaginare di pronunciare le parole mostrate su uno schermo, ripetendo il processo più volte per ogni parola. Il BCI ha quindi combinato le misurazioni dell’attività cerebrale dei partecipanti con un modello computerizzato per prevedere il loro discorso interno in tempo reale.

Risultati dell’esperimento

Il BCI ha mostrato risultati differenti per i due partecipanti. Per il primo individuo, è stato in grado di catturare segnali neurali distinti per tutte le parole e identificarli con una precisione del 79%. Questo suggerisce che il dispositivo è stato efficace nel rilevare l’attività cerebrale correlata al discorso interno per questo soggetto.

Tuttavia, per il secondo partecipante, l’accuratezza della decodifica è stata notevolmente inferiore. Ha infatti raggiunto solo il 23%. Per l’esattezza, il partecipante ha mostrato una preferenza per le parole “cucchiaio” e “nuoto”, con meno neuroni attivi in modo univoco per ogni parola. Sarah Wandelt ipotizza che ciò possa essere dovuto alla diversa attivazione delle sotto-aree nel giro sopramarginale durante il processo di discorso interno.

Christian Herff, un neuroscienziato computazionale all’Università di Maastricht, suggerisce che questi risultati potrebbero riflettere le diverse modalità con cui le persone elaborano il discorso interno. «Questo è supportato da studi precedenti che indicano variazioni nelle capacità di esecuzione del compito immaginato e nel controllo del BCI tra gli individui», spiega Silvia Marchesotti.

Inoltre, gli autori hanno scoperto che la maggior parte dei neuroni attivi durante il discorso interno erano attivi anche durante la vocalizzazione delle parole, con un’attività che variava tra i diversi compiti. 

Una speranza per la Sindrome da Locked-In

La sindrome da Locked-in rende le persone completamente incapaci di muoversi o di parlare, ma la loro consapevolezza e le loro funzioni cognitive rimangono intatte

La tecnologia emergente della lettura mentale offre una speranza tangibile per le persone affette da una condizione debilitante conosciuta come sindrome da Locked-in. L’ innovazione potrebbe rivoluzionare il modo in cui queste persone possono comunicare con il mondo esterno, offrendo loro una voce attraverso i pensieri.

La sindrome da locked-in è una condizione rara ma devastante che porta a una completa paralisi dei muscoli volontari, dei muscoli del corpo, compresa la respirazione. Essa lascia intatti solo i movimenti oculari e, talvolta, quelli verticali del movimento degli occhi. Questa paralisi estrema, rende le persone completamente incapaci di muoversi o di parlare, ma la loro consapevolezza e le loro funzioni cognitive rimangono intatte. Si tratta essenzialmente di essere intrappolati nel proprio corpo, incapaci di comunicare con il mondo esterno.

Le cause della sindrome da locked-in possono variare e includono lesioni cerebrali, traumi spinali, ictus, malattie neurodegenerative e altre condizioni mediche. Sebbene sia una condizione estremamente rara, con una prevalenza stimata di circa 1-2 casi per milione di persone, le sue conseguenze sono profonde e durature per coloro che ne sono colpiti.

Avanzamenti e prospettive: le interfacce del futuro

Sebbene lo studio rappresenti un passo avanti significativo nella comprensione e nell’applicazione della tecnologia di lettura mentale, le sue applicazioni cliniche rimangono ancora in fase embrionale e numerose domande restano irrisolte.

Uno dei principali ostacoli è la mancanza di comprensione approfondita di come il cervello elabori il discorso interno. Christian Herff mette in luce questa sfida, sottolineando la necessità di determinare se il cervello rappresenta il discorso interno foneticamente (in termini di suoni) o semanticamente (in termini di significato). Questa chiave distinzione potrebbe influenzare significativamente lo sviluppo futuro della tecnologia.

Silvia Marchesotti solleva un’altra importante questione riguardante la generalizzazione della tecnologia a persone che hanno perso la capacità di parlare a causa di lesioni cerebrali o altre condizioni. Attualmente, i partecipanti allo studio mantengono la capacità di parlare e hanno aree di discorso cerebrale intatte. Il che solleva interrogativi sulla sua efficacia per coloro che hanno subito danni più estesi.

Il prossimo passo per il team sarà esplorare la possibilità di distinguere tra le singole lettere dell’alfabeto utilizzando il BCI. Questo potrebbe portare allo sviluppo di uno “scrittore di discorso interno“, consentendo alle persone con sindrome da locked-in o altre disabilità di comunicare attraverso la scrittura dei loro pensieri. Questa potenziale evoluzione rappresenterebbe un balzo in avanti nella capacità di comunicazione e autonomia per le persone con gravi disabilità fisiche.

Fonte

Nature Human Behaviour