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Sono 2.500 all’anno e 12.000 in cinque anni i casi di infortunio sul lavoro accertati dall’Inail per sanitari e socio-sanitari. Si tratta di episodi come aggressioni, violenze, minacce e simili che sono state messe in atto contro il personale di ospedali, case di cura, cliniche, centri di accoglienza, case di riposo e di assistenza residenziale.

I dati si riferiscono al quinquennio 2016-2020 e sono a cura del servizio di Consulenza statistico attuariale dell’Istituto. Si rendono noti in occasione della prima Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitario. La data scelta è quella del 12 marzo 2022 e sarà celebrata ogni anno lo stesso giorno.

Istituita dalla Legge 113 del 14 agosto 2020, la Giornata rimarca l’importanza di educazione e rispetto per gli operatori del comparto sanitario, nonché di condanna delle violenze. Le amministrazioni pubbliche si occuperanno della promozione di iniziative di comunicazione e sensibilizzazione.

Inail: “Donne più colpite”, soprattutto operatrici sanitarie

Le più colpite dagli episodi di violenze sono le donne: i tre quarti del totale ed in particolare si tratta di operatrici sanitarie. In base ai dati Inail, quasi la metà degli infortuni (46%) riguarda l’assistenza sanitaria: le aggressioni avvengono in ospedale, cliniche, istituti e case di cura. In misura minore (28%) in servizi di assistenza sociale residenziale quali case di riposo, centri di accoglienza, strutture di assistenza infermieristica. Il 26% degli episodi avviene invece nel comparto dell’assistenza sociale non residenziale.

I più aggrediti sono gli infermieri, ma anche altri tecnici della salute come gli educatori professionali che operano con tossicodipendenti, alcolisti, detenuti, pazienti psichiatrici, ma anche minori e anziani in strutture sanitarie. Il 25% è rappresentato da operatori socio-sanitari e il 15% da operatori socio-assistenziali e assistenti-accompagnatori per disabili. I meno aggrediti sarebbero i medici (5%); ma nei dati Inail rientrano solo i dipendenti e non il personale convenzionato: quindi sono esclusi tutti i medici di base e i liberi professionisti.

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Medici e infermieri: “La violenza non si giustifica”

Significativi i commenti degli ordini professionali.

Hanno subìto violenza in generale sul posto di lavoro circa 180mila infermieri e per oltre 100mila si è trattato di un’aggressione fisica. Le mancate denunce e gli episodi non rilevati dimostrano che il numero è sicuramente sottostimato. In realtà le violenze (verbali e fisiche) sono almeno 10-15 volte più numerose” – sottolinea la FNOPI, Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche. “La situazione poi si sta aggravando perché accanto alle usuali violenze, durante la pandemia si sono create situazioni come quelle in cui non è stato possibile far avvicinare persone ai ricoverati. Ciò ha generato fortissime tensioni e numerose aggressioni e ci sono poi i no-vax che sono autori di continue aggressioni e minacce, anche di morte“.

Fanno eco i medici, che il 12 marzo celebrano la Giornata a Bari, dove nel 2013 la psichiatra Paola Labriola fu assassinata da un suo paziente psichiatrico. Ci saranno anche il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, e il Presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro. “Educare a una cultura che rifiuti la violenza, significa educare a valori quali la sicurezza del lavoratore e il rispetto della dignità della persona. Se poi quel lavoratore, quella persona è un medico, un operatore sanitario, questi principi sono ancora più importanti, perché vanno a garantire la sicurezza delle cure e, dunque, la tutela della salute” – ha commentato Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.