Il sale, con la sua ricchezza di sodio, è un elemento fondamentale per la sopravvivenza umana. In equilibrio delicato, la sua presenza è essenziale per mantenere la pressione sanguigna, il volume dei fluidi corporei e la trasmissione nervosa. Tuttavia, un eccesso può portare a ipertensione e malattie cardiovascolari, mentre una carenza può risultare fatale, compromettendo gravemente le funzioni vitali.
In un contesto moderno, dove la dieta occidentale è spesso sovraccarica di sale, il rischio di iposodemia (carenza di sodio) è raro. Tuttavia, in situazioni di vomito, diarrea, disidratazione o perdita di sangue, il corpo attiva potenti meccanismi biologici per stimolare il desiderio di sale, segnalando la necessità di ripristinare i livelli ottimali di sodio.
Ora, un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Iowa, pubblicato su JCI Insight, ha identificato per la prima volta i neuroni specifici responsabili del controllo dell’appetito di sodio. Cosa che apre nuove prospettive per trattamenti innovativi legati a patologie come l’ipertensione primaria da aldosteronismo
Il ruolo dell’aldosterone: il grilletto ormonale del desiderio di sale
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Il team, guidato dal professor Joel Geerling e dalla ricercatrice Silvia Gasparini, ha individuato una correlazione diretta tra l’ormone aldosterone e il comportamento alimentare orientato al consumo di sale. L’aldosterone viene prodotto quando il volume dei fluidi corporei è basso – una risposta tipica a episodi di sudorazione intensa, perdita di sangue o malattie che comportano disidratazione.
L’azione primaria dell’aldosterone è quella di indurre i reni a trattenere sodio, limitando così la perdita di liquidi. Tuttavia, lo studio ha rivelato che questo ormone ha un ulteriore effetto: attiva direttamente un piccolo gruppo di neuroni nel tronco cerebrale noti come neuroni HSD2.
Questi neuroni, secondo i ricercatori, svolgono un ruolo di primaria importanza nell’innescare il desiderio di consumare sale. I dati raccolti dimostrano che topi privati di sodio mostrano un aumento della produzione di aldosterone e una corrispondente crescita dell’attività nei neuroni HSD2.
Neuroni HSD2: i registi invisibili dell’appetito di sodio
Il professor Geerling aveva già individuato l’esistenza dei neuroni HSD2 in studi precedenti, ma solo ora la ricerca è riuscita a confermare il loro ruolo chiave. Nei topi, si contano appena 200 di questi neuroni, mentre negli esseri umani il numero sale a circa 1.000. Nonostante la loro esiguità, questi neuroni sembrano avere un’influenza sproporzionata rispetto alla loro quantità.
«Non conosciamo altri comportamenti mammiferi che dipendano così strettamente da un gruppo così ridotto di cellule», afferma Geerling.
Il dato più affascinante riguarda la conservazione evolutiva di questi neuroni. I neuroni HSD2 sono presenti non solo negli esseri umani, ma anche nei ratti e nei maiali.
Il che, suggerisce che questo meccanismo rappresenta un’antica e fondamentale via fisiologica per la regolazione del sodio.
«La presenza di questi neuroni in specie così diverse ci dice che siamo di fronte a un sistema biologico
basilare, radicato nella nostra evoluzione», aggiunge lo studioso.
Aldosteronismo primario: quando il sale diventa un nemico
Lo studio apre nuove prospettive nella comprensione dell’aldosteronismo primario, una condizione caratterizzata da livelli cronicamente elevati di aldosterone. Questa patologia è responsabile di ipertensione severa nel 10-30% dei pazienti con pressione alta, aumentando significativamente il rischio di ictus, scompenso cardiaco e aritmie.
Uno degli effetti collaterali poco esplorati dell’aldosteronismo è l’aumento dell’appetito per il sale. Già negli anni ’30, studi su animali avevano dimostrato che alte dosi di aldosterone spingevano i ratti a consumare più sodio. Recenti ricerche umane hanno confermato che i pazienti affetti da aldosteronismo consumano più sale rispetto ad altri soggetti ipertesi.
I risultati dello studio dell’Università dell’Iowa suggeriscono che bloccare selettivamente l’attivazione dei neuroni HSD2 potrebbe rappresentare una strada terapeutica per ridurre il consumo eccessivo di sale nei pazienti affetti da questa condizione, senza compromettere altre funzioni vitali.
Prospettive terapeutiche: verso nuovi trattamenti personalizzati
Con l’individuazione di questo piccolo ma potentissimo gruppo di neuroni, i ricercatori stanno ora lavorando per comprendere i circuiti neurali più ampi che interagiscono con gli HSD2. La stimolazione cerebrale profonda (DBS) e terapie farmacologiche mirate potrebbero, in futuro, modulare direttamente l’attività dei neuroni HSD2, offrendo soluzioni innovative a pazienti che soffrono di disordini legati al sodio.
«Identificare questi neuroni rappresenta solo il primo passo», spiega Geerling. «Ora dobbiamo esplorare
come questi circuiti interagiscono con altre aree del cervello, e capire se possiamo intervenire per
bilanciare l’appetito di sodio in modo sicuro ed efficace».