In un affascinante viaggio attraverso il DNA antico, i ricercatori del Francis Crick Institute di Londra hanno cercato di svelare i segreti celati nelle pagine del nostro passato. Oltre alle intriganti scoperte di sindromi cromosomiche sessuali (tra tutte la sindrome di Turner) emerge una narrazione avvincente che ci trasporta nel cuore delle società antiche. Società inclusive in cui la disabilità era tutt’altro che un tabù.

Lo studio è stato pubblicato su Communications Biology1.

Esploriamo insieme il passato attraverso il microscopio della genetica…

Il primo caso di sindrome di Turner: antico DNA sotto esame

Attraverso il sequenziamento del DNA di sei individui vissuti migliaia di anni fa, con cromosomi extra o mancanti (estratto da denti, cranio, mascella e orecchio), i ricercatori hanno svelato delle soprendenti caratteristiche fisiche.

L’utilizzo di strumenti computazionali avanzati ha infatti permesso al team del Francis Crick Institute di Londra di calcolare il numero di frammenti di DNA associati ai cromosomi sessuali X e Y. Risultato?

Come prima cosa, gli scienziati hanno identificato il primo caso noto di disturbo dello sviluppo sessuale, dell’antichità. Noto come sindrome di Turner, esso rappresenta una delle principali cause di insufficienza ovarica prematura, causata dall’eccessiva accelerazione del naturale processo di degenerazione dei follicoli ovarici.

Cosa comporta? La maggioranza delle persone affette, mostra assenza di sviluppo mammario e amenorrea primaria (assenza del primo ciclo mestruale).

Il mistero delle sindromi

DNA antico: focus sullo studio

Tra le altre interessanti scoperte, un neonato con sindrome di Down, vissuto 5.000 anni fa, e una donna del Somerset, Regno Unito vissuta circa 2.500 anni fa, affetta da sindrome di Turner.

Quest’ultima è condizione genetica rara che colpisce le donne e deriva dalla completa o parziale assenza di un cromosoma X.

Chi ne soffre, presenta solitamente delle anomalie sul collo (pieghe cutanee laterali, dette pterigio), è di bassa statura, può avere problemi di udito, cardiaci e renali.

Quanto al mistero genetico tra individui di sesso maschile, l’analisi ha portato alla luce il caso di un uomo affetto da sindrome di Creutzfeldt-Jakob, una malattia da prioni (proteine alterate).

Caratterizzata dal deterioramento progressivo della funzione mentale, provoca demenza, contrazione involontaria dei muscoli (mioclono) e barcollamento.

L’esame del DNA di altri tre soggetti ha svelato infine la presenza della sindrome di Klinefelter.

Parliamo di una patologia genetica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma X in più, che provoca un ritardato sviluppo dei caratteri sessuali tipicamente maschili e persino l’infertilità.

Ma c’è di più…

Antichi? Più moderni di noi

DNA antico: svela casi di disturbi dello sviluppo sessuale. La disabilità non era un tabù

I ricercatori, guidati dalla dottoressa Kyriaki Anastasiadou, esperta in genomica antica e coautrice dello studio, si sono spinti oltre.

Sono riusciti infatti a comprendere come alcune patologie abbiano plasmato, non solo le caratteristiche fisiche degli individui, ma anche le storie e le dinamiche sociali delle comunità antiche.

In che senso? Entriamo nel vivo della vicenda.

L’antropologa ha evidenziato un dettaglio fondamentale.

Nonostante le differenze genetiche, le società arcaiche non avrebbero escluso le persone con sindromi cromosomiche o disabilità di sorta.

Ad attestarlo, le loro sepolture.

Nessuna prova di distinzione nei rituali funebri, nessun segno di disparità o emarginazione.

Una lezione quanto mai moderna, se pensiamo che ancora oggi, in molti Paesi la diversità o la disabilità sono considerate dei tabù.

Un rapporto UNICEF del 2019 ad esempio, indica che almeno il 75% dei circa 5,1 milioni di bambini che vivono con disabilità in Europa Centrale e Orientale e in Asia Centrale sono esclusi da un’istruzione inclusiva e di qualità. 

Una grande svolta

L’archeologa Bettina Arnold dell’Università del Wisconsin-Milwaukee ha definito l’approccio scientifico-sociale degli studiosi coinvolti nella ricerca, una “grande svolta”.

La dottoressa ha sottolienato un particolare fondamentale.

«Attraverso l’analisi delle sepolture, si sè aperto uno spiraglio sulla comprensione di cosa significasse essere “umani” nelle epoche passate».

Il modo in cui le persone venivano accomunate dalla morte rivela infatti una “umanità condivisa”.

Ulla Moilanen, archeologa dell’Università di Turku in Finlandia, rimarca l’importanza di studi simili.

«Non solo illuminano la percezione di sesso e genere nelle società antiche» , afferma.

«Chiariscono come veniva considerata la disabilità in un passato lontano. Le sepolture diventano testimonianze silenziose, ma eloquenti, di una connessione umana che trascende le barriere genetiche».