Per decenni, la demenza è stata considerata una malattia esclusivamente “del cervello”. Oggi, però, la ricerca si sta spostando verso una visione più ampia, che integra biologia, comportamento, società e ambiente. Un recente consorzio internazionale, il Demon–Deep Dementia Phenotyping & Social Determinants of Dementia (Sdod), punta proprio su questa prospettiva allargata.
L’Università di Verona è l’unico ateneo italiano coinvolto in questa rete globale. I neurologi Stefano Tamburin ed Elisa Mantovani, insieme al Dipartimento di Neuroscienze diretto da Corrado Barbui, stanno contribuendo attivamente a ridefinire le basi della prevenzione e della comprensione della demenza.
Che cos’è la demenza: più di una malattia della memoria
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La demenza non è una singola patologia, ma una condizione clinica complessa caratterizzata da un declino progressivo delle funzioni cognitive. Le aree colpite possono includere memoria, linguaggio, orientamento, attenzione, capacità di giudizio e comportamento sociale.
La forma più comune è la malattia di Alzheimer, seguita dalla demenza vascolare, dalla demenza a corpi di Lewy e da altre forme meno note, come la demenza frontotemporale.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, sono oltre 55 milioni le persone nel mondo affette da demenza. In Italia, i casi stimati superano i 600.000, con numeri destinati ad aumentare a causa dell’invecchiamento della popolazione.
Il nuovo approccio alla demenza: non solo biologia
Il nuovo approccio proposto dal consorzio Demon-Sdod considera la demenza non solo come un problema medico, ma come il risultato di interazioni complesse tra fattori biologici e sociali.
In particolare, si guarda ai cosiddetti determinanti sociali della salute: elementi legati alla vita quotidiana che possono influenzare, nel tempo, il rischio di ammalarsi.
Fattori come livello di istruzione, reddito, ambiente urbano, qualità della casa, inquinamento atmosferico e accesso ai servizi sanitari entrano in gioco nel determinare la vulnerabilità al decadimento cognitivo.
I determinanti sociali della demenza nel dettaglio
Uno degli aspetti centrali dello studio pubblicato sulla rivista Alzheimer’s & Dementia riguarda la revisione della letteratura scientifica sulle condizioni sociali legate alla demenza. Ecco i principali determinanti analizzati:
Istruzione e livello socioeconomico
Persone con basso livello di istruzione o in condizioni economiche svantaggiate presentano un rischio aumentato. Questo può dipendere da una minore stimolazione cognitiva durante la vita, ma anche da un accesso limitato alle cure.
Inquinamento atmosferico
Esposizioni croniche a sostanze inquinanti, come il particolato fine (PM2.5) o il biossido di azoto, sono state associate a un maggiore rischio di declino cognitivo. L’inquinamento provoca infiammazione e stress ossidativo, processi dannosi per il cervello.
Qualità dell’abitare
Vivere in abitazioni degradate o sovraffollate può aumentare lo stress e compromettere il benessere psicologico. La privazione abitativa è un’area ancora poco esplorata, ma con implicazioni potenzialmente rilevanti.
Condizioni estreme come la detenzione
Alcuni studi iniziano a mostrare che condizioni di reclusione, isolamento sociale forzato o ambienti carcerari possono influenzare la struttura e la funzione cerebrale nel tempo.
Le nuove terapie biologiche: tra speranze e limiti
Negli ultimi anni, sono stati approvati nuovi farmaci biologici per il trattamento dell’Alzheimer, come lecanemab e donanemab, autorizzati anche dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA). Questi farmaci agiscono sulle placche di beta-amiloide, una delle proteine coinvolte nel processo degenerativo.
Tuttavia, l’efficacia di questi trattamenti resta limitata, e gli effetti collaterali possono essere gravi, come infiammazioni cerebrali o microemorragie. Inoltre, si tratta di cure costose e difficili da somministrare, non accessibili a tutti.
Secondo i ricercatori di Verona, questi farmaci non possono essere l’unica risposta. Serve una strategia più ampia, inclusiva e preventiva.
La prevenzione: intervenire prima che la malattia cominci
La vera arma contro la demenza è la prevenzione, soprattutto quella basata su fattori di rischio modificabili. Studi clinici dimostrano che si può ridurre il rischio fino al 40% agendo su elementi come:
- controllo della pressione arteriosa
- trattamento del diabete
- riduzione del colesterolo
- attività fisica e mentale regolare
- contrasto all’isolamento sociale
- cessazione del fumo
A questi fattori si aggiungono quelli strutturali, come il contesto urbano, il tipo di quartiere in cui si vive, la sicurezza ambientale, la presenza di spazi verdi e di reti sociali.
Il consorzio Demon-Sdod sottolinea che molti determinanti non possono essere cambiati individualmente, ma richiedono politiche pubbliche, investimenti e interventi sistemici.
Tabella: determinanti sociali e impatto sul rischio di demenza
Fattore sociale | Meccanismo di rischio | Possibilità di intervento |
---|---|---|
Istruzione bassa | Minore riserva cognitiva | Investimenti in educazione e lifelong learning |
Povertà e disuguaglianza | Accesso ridotto a cure e prevenzione | Politiche redistributive |
Inquinamento atmosferico | Infiammazione e stress ossidativo | Miglioramento qualità dell’aria urbana |
Isolamento sociale | Ridotta stimolazione emotiva e cognitiva | Reti comunitarie, supporti territoriali |
Qualità dell’abitare | Stress, disturbi del sonno, ansia | Riqualificazione urbana e abitativa |
Un cambiamento di visione per la salute pubblica
Il progetto Demon-Sdod, con la partecipazione attiva dell’Università di Verona, sta costruendo una nuova mappa del rischio cognitivo, in cui la salute del cervello non dipende solo da geni e invecchiamento, ma anche dalle condizioni in cui si vive.
L’obiettivo finale è la creazione di una task force europea per promuovere interventi su scala vasta. Le ricadute potenziali sono enormi: intervenire sui determinanti sociali significa prevenire migliaia di casi, alleggerendo il peso sulle famiglie e sul sistema sanitario.
Ripensare la demenza per prevenirla davvero
Pensare alla demenza solo come una malattia neuronale è un approccio superato.
Oggi sappiamo che le disuguaglianze sociali, ambientali e culturali contribuiscono concretamente al rischio cognitivo. Prevenire la demenza non significa soltanto aspettare farmaci miracolosi. Significa costruire città più sane, ridurre l’esclusione, promuovere il benessere a tutte le età.