Dal jelqing alla chirurgia, le tecniche per aumentare le dimensioni delle zone intime maschili hanno da sempre suscitato interesse. Nello specifico, il jelquin è una tecnica ampiamente controversa che promette l’aumento in lunghezza e circonferenza delle zone intime maschili, attraverso una serie di esercizi. L’antichissima pratica sta accendendo i numerosi dibattiti in rete. Cosa dice la moderna andrologia e quali alternative “sicure” propone? Iniziamo da un breve excursus storico
Jelquin una tecnica dubbia?
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Jelquin. Il pene maschile è composto da due corpi cavernosi e da un corpo spugnoso. Queste strutture, circondate da muscolatura liscia e tessuto connettivo, giocano un ruolo fondamentale nell’erezione e nella soddisfazione sessuale.
E proprio qui entra in gioco il jelqing, un metodo che cerca di sfruttare i meccanismi di riparazione del corpo per creare microlesioni nei tessuti del pene, simili a quelle che avvengono nelle ossa e nei muscoli scheletrici. Tuttavia, sebbene la teoria possa sembrare promettente, la pratica è molto più controversa.
Le cellule muscolari lisce del pene non rispondono allo stress nello stesso modo delle cellule muscolari scheletriche. Inoltre, il jelqing comporta un aumento del rischio di sviluppare la malattia di Peyronie, una condizione in cui il tessuto cicatriziale sotto la pelle del pene causa curvature e dolore e può persino portare a un accorciamento dello stesso.
Excursus storico: origini del jelqing
Da pozioni magiche a dispositivi meccanici, l’umanità ha sperimentato ogni sorta di strana soluzione per risolvere il problema legato alle dimensioni, inclusa la pratica del jelquing.
La tecnica è nata probabilmente in Medio Oriente e tramandata da padre in figlio, quale rito di preparazione alla vita sessuale.
Ma fino a che punto possiamo credere a queste promesse di miracoli? La scienza rimane scettica, ma l’interesse persiste.
Risaliamo all’antichità, abbiamo alla ricerca di altri metodi singolari e talvolta bizzarri per ottenere dei risultati in termini di “dimensioni”.
Nell’antica Grecia ad esempio, l’arte del jelqing era ancora in fase di sviluppo. L’antico metodo greco di allungare il prepuzio con un kynodesme (letteralmente “guinzaglio del cane“) era piuttosto delicato, almeno rispetto agli stravaganti metodi indiani.
Il testo sanscrito di medicina e chirurgia, chiamato Sushruta Samhita, suggeriva di strofinare dapprima il pene con insetti dotati di setole, effettuare massaggi con oli e strofinare per una seconda volta gli insetti.
Risultato? Sicuramente un ingrandimento a breve termine, ma probabilmente era dovuto alle infezioni o infiammazioni derivanti da tale pratica.
E che dire degli uomini della tribù brasiliana dei Topinamá nel XVI secolo? Si racconta che permettessero ai serpenti velenosi di mordere le loro parti intime.
Il moderno jelquin
Oggi, nel ventunesimo secolo, i tempi sono cambiati, e le pillole vitaminiche sono il nuovo mantra.
Sicuramente, non fanno male come gli insetti o i morsi di serpente, ma sono altrettanto inefficaci.
Altre stramberie sono dei dispositivi cilindrici da applicare sulla zona interessata, spesso proposti come una soluzione per la disfunzione erettile. Ma a differenza di quanto suggerito da alcune affermazioni online, anche in questo caso niente illusioni: non si tratta del Santo Graal. Anzi, questi aggeggi possono persino provocare lividi, sanguinamento o addirittura una necrosi del tessuto del pene.
Dal jelquin alla chirurgia, al filler, il salto è breve
Oggi si ricorre agli interventi di penoplastica o falloplastica dopo una prostatectomia o altre condizioni invalidanti.
Quanto ai filler, le iniezioni di acido ialuronico (HA) sono diventate popolari per il loro potenziale di rimpolpare le zone erogene.
Ma attenzione, perché una somministrazione errata potrebbe portare a spiacevoli conseguenze per la salute.
Quanto all’intervento chirurgico per tagliare il “legamento sospensore del pene“, praticato attraverso un’incisione infrapubica, esso porta effettivamente a un allungamento medio che varia dai 2 ai 4 centimetri.
Il trapianto di grasso: l’ultima frontiera dell’andrologia
Infine segnaliamo il trapianto di grasso, che sicuramente sembra un’idea folle, ma che ha dimostrato un certo successo nel migliorare la circonferenza del membro.
Utile tuttavia precisare che il 30% del grasso tende a sparire nei primi due mesi.
In aggiunta, il tessuto cicatriziale e le infezioni, possono trasformare questa avventura in un vero e proprio incubo a lungo termine.
Ma è davvero necessario ricorrere a interventi o tecniche dubbie nel caso di micropenia? E quando è il caso di preoccuparsi?
Il micropene e le sue implicazioni
L’intervento di ingrandimento del pene, secondo solo alla liposuzione nelle richieste di chirurgia estetica maschile, solleva interrogativi che vanno ben oltre il semplice desiderio di grandezza.
Il micropene, una condizione spesso diagnosticata alla nascita, si verifica quando il pene è 2,5 deviazioni standard al di sotto della media della lunghezza del pene allungato.
In termini pratici, stiamo parlando di dimensioni che oscillano tra i 2,3 e i 2,5 centimetri, a seconda dell’etnia di appartenenza.
Le cause possono essere molteplici, dalla carenza di ormoni come il testosterone o l’hCG a fattori genetici.
Ma quali sono le implicazioni oltre il desiderio di semplicemente “avere di più”? È qui che la scienza ci offre un interessante spaccato della realtà anatomica.
Per cominciare, le dimensioni medie del pene maschile, si aggirano tra i 12 e i 14 centimetri, con uno studio recente che rivela addirittura un aumento del 24% rispetto a tre decenni fa. D’altra parte, la profondità media della vagina femminile oscilla tra i 6 e i 9 centimetri, ma si allunga durante l’eccitazione sessuale per accogliere un pene più lungo.
Ecco il punto interessante: la ricerca suggerisce che la circonferenza del pene potrebbe avere un ruolo più importante della lunghezza nella soddisfazione sessuale. E mentre non esiste un consenso definitivo sulla correlazione tra lunghezza e soddisfazione sessuale, soprattutto per i partner eterosessuali, ciò che è certo è che i genitali femminili sono ricchi di strutture erogene che possono suscitare l’orgasmo. Quindi, forse, la lunghezza del pene non è la chiave per sbloccare il segreto dell’estasi sessuale.
Fonte
The Conversation