Associazione italiana circoli sportivi

Rovistavo da giorni nella mia sub memoria, negli strati più profondi, quelli sedimentati per sensazioni, quelli archiviati nell’anima. E così, gira che ti rigira, mi sono ricordato di un amico. Una persona davvero straordinaria che era comparsa sul mio orizzonte per via della costituente AICS, Associazione italiana circoli sportivi, in cui ero stato coinvolto dal padre putativo, Probo Zamagni.

Le tribolazioni iniziali dell’Associazione circoli sportivi

E così mi sono tornate in mente le tribolazioni iniziali dell’Associazione italiana circoli sportivi. Di una rinascente organizzazione socialista, erede delle ASSI di Attilio Maffi e dell’UCSI di Matteo Matteotti. Che nel CSI di Aldo Notario aveva trovato una salvifica sinergia all’inizio di quegli anni sessanta. Quando occorreva costruire quella idea di promozione sportiva, che era prossima alla pratica come opportunità di salute e di sano impiego del tempo libero.

Più di quanto non ne siano interpreti oggi molte entità irrimediabilmente spiaggiate su di una deriva meramente consumistica. Intanto il Terzo Millennio si manifesta evocativo di un concetto essenziale. Quello che lo sport come profilassi della salute non può che essere un diritto, piuttosto che una opportunità.

Allora, gli Enti di Propaganda Sportiva, anche grazie alle illuminate aperture da parte di Giulio Onesti, concorsero alla Legge “Fifty Fifty” (1965) sui proventi del Totocalcio, firmata da Giacomo Brodolini. E poi al decollo dei Centri Olimpia come base propedeutica e d’appoggio ai Giochi della Gioventù. Questi ultimi furono il momento più alto d’intesa, tra l’espressione territoriale della società civile e il mondo dello sport.

Associazione circoli sportivi, una storia a rischio oblio

Dunque, le figure di Attilio Maffi, Matteo Matteotti, Giacomo Brodolini, Probo Zamagni, Enrico Guabello, Cesare Bensi, Gianni Usvardi, fanno parte di una storia che rischierebbe l’oblio. Di rimanere nella obsolescenza generata dalla ridondanza dell’epica. E di non lasciare il giusto segno, se qualcuno oggi non si facesse carico di riprendere i capi di quei fili che caddero aggrovigliati tra le carte della Convenzione Nazionale dell’Associazionismo, organizzata il 24 – 25 febbraio del 1989, in quel di Verona.

In quel contesto Brodolini, Onesti e Guabello erano ormai passati da anni in Borea e per Notario ed Usvardi. Dopo aver superato le tappe di una invocata riforma dello sport con Signorello, Lagorio e Carraro, suonava la campana di un ultimo giro senza traguardo.

Il tempo sembra non essere passato

La posta in gioco dei Campionati del Mondo di Calcio 1990 era talmente soverchiante, che su quell’altare si sacrificarono progetti, ideali e teste pensanti. Comprese quelle dei riformisti. Oggi, sembra quasi che il tempo, una parentesi di trent’anni in cui si è continuato a pestare acqua nel mortaio, non sia passato. Che si possa riprendere quel percorso, con non poca fatica già tracciato dalla storia, come via ineludibile. Qualsiasi altra cosa accada.

L’AICS non abita nei “palazzi”

Oggi con Massimo e Monica Zibellini, con gli antichi protagonisti di un’impresa – che dura da oltre sessant’anni – festeggiamo rimembrando gli anni dell’AICS. Quella che ricevette la “benedizione” di Pietro Nenni e Sandro Pertini. Quella che partì da via della Lungara nel 1962 e che sintetizzò la sua ragione sociale nel riscatto del Sud, con la sua Freccia, Mennea.

Per il 30° dell’associazione, l’allora presidente onorario Antonio Ghirelli scrisse: “L’AICS non abita nei ‘palazzi’, ma nelle strade, nelle piazze, negli stadi, nelle biblioteche, nei teatri, nelle balere. Ovunque i suoi militanti vivono un’esperienza quotidiana di vita e di lavoro. Partecipi della grande battaglia che il movimento democratico combatte per fare dell’Italia un paese, più libero e giusto, più moderno”.