Gli scienziati hanno identificato una popolazione di neuroni nel tronco cerebrale – quella struttura che collega gran parte del cervello al midollo spinale – che sembra svolgere un ruolo centrale nella regolazione dell’infiammazione e nel mantenimento dell’equilibrio del nostro sistema immunitario. In questo viaggio nella mente, scopriremo il misterioso il quartier generale del controllo immunitario nel cervello. Il suo ruolo può aiutare la ricerca nel trattamento di malattie autoimmuni e infiammatorie
Cervello al comando: il ruolo neurale nella risposta immunitaria
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Per decenni, gli scienziati hanno intuito il ruolo del cervello nelle dinamiche del sistema immunitario, ma il modo in cui questa interazione avviene è da sempre rimasto un enigma. Tuttavia, un recente studio pubblicato su Nature ha finalmente ha fatto chiarezza. I ricercatori hanno identificato le cellule (nel tronco cerebrale) responsabili di percepire i segnali immunitari e orchestrare la risposta infiammatoria dell’organismo.
L’idea che il cervello svolga un ruolo nella regolazione dell’infiammazione potrebbe sembrare un vero e proprio “evento black-swan” (un evento isolato) nel mondo della neuroimmunologia, ma per gli esperti come Ruslan Medzhitov, immunologo della Yale University, questa scoperta rappresenta una svolta epocale. «È come se avessimo trovato un tesoro nascosto nel cuore del cervello», afferma. «Sapevamo che il tronco cerebrale aveva molteplici funzioni, ma questo studio rivela cose, nel campo della biologia, che non avevamo nemmeno immaginato».
La sfida dell’equilibrio immunitario
Quando un pericolo ci minaccia, il sistema immunitario scende in campo con una potente difesa. Quasi fosse un “regista”, il cervello cerca di dirigere questa risposta con precisione millimetrica, bilanciando la forza dell’infiammazione per proteggere il corpo senza danneggiarlo.
In passato, i ricercatori avevano scoperto che il nervo vago, una rete di fibre nervose che collega il corpo al cervello, gioca un ruolo importante nel modulare la risposta immunitaria. Tuttavia, il mistero delle specifiche cellule cerebrali coinvolte è rimasto inspiegatoi.
Sotto la guida di Hao Jin, neuroimmunologo dell’Istituto Nazionale di Allergie e Malattie Infettive del Maryland (Stati Uniti), un team di scienziati ha cercato di risolvere l’enigma.
In che modo?
Il test sui topi
Iniettando composti batterici nell’addome dei topi per scatenare l’infiammazione, i ricercatori hanno scrutato attentamente l’attività neurale.
Ciò che hanno scoperto è stato sorprendente. Neuroni specifici nel tronco cerebrale si sono illuminati in risposta agli stimoli immunitari. Manipolare l’attività di questi neuroni ha avuto un impatto diretto sulla risposta infiammatoria del corpo. Quando attivati, hanno infatti agito come un freno, riducendo la produzione di molecole infiammatorie nel sangue dei topi. Ma quando sono stati bloccati, la risposta immunitaria è diventata incontrollata, scatenando una serie di infiammazioni.
In parole semplici, questi neuroni agiscono come un “reostato nel cervello“, (resistore a resistenza variabile). A spiegarlo, Charles Zuker, neuroscienziato della Columbia University. Insomma, la loro reazione garantisce che l’infiammazione sia mantenuta ai livelli giusti per proteggere il corpo senza danneggiarlo.
Cervello: nuovi orizzonti nella neuroimmunologia
Ulteriori esperimenti hanno portato alla luce un intricato sistema di comunicazione tra il corpo e il cervello, delineando due gruppi distinti di neuroni nel nervo vago.
Nello specifico, uno sarebbe sensibile alle molecole immunitarie pro-infiammatorie e un altro sensibile a quelle anti-infiammatorie. Questi neuroni agiscono come messaggeri, trasmettendo segnali al cervello che gli consentono di monitorare la risposta immunitaria in tempo reale. Come detto, nei topi affetti da un’eccessiva risposta immunitaria, l’attivazione artificiale dei neuroni vagali (che trasportano segnali anti-infiammatori), ha portato a una significativa riduzione dell’infiammazione.
La scoperta apre pertanto la strada a nuove possibilità terapeutiche.
«Offre una prospettiva promettente per il trattamento di malattie autoimmuni e condizioni come il lungo COVID, una sindrome debilitante che può persistere per anni dopo un’infezione da SARS-CoV-2».
Questo il commento di Jin.
La necessità di ulteriori studi
Nonostante le potenzialità terapeutiche, Zuker avverte che il cammino verso l’applicazione clinica è lungo e complesso. Richiede pertanto ulteriori ricerche e sforzi.
Oltre alla rete neuronale individuata nello studio, il team sottolinea la possibilità di altre vie attraverso le quali il corpo comunica con il cervello riguardo alla risposta immunitaria. Inoltre, i meccanismi con cui il cervello trasmette segnali al sistema immunitario per regolare l’infiammazione rimangono ancora poco chiari. Questo suggerisce che siamo solo agli inizi di una vasta terra di scoperta nella neuroimmunologia. Insomma, il “libro delle regole” della comunicazione tra cervello e sistema immunitario è ancora da scrivere, e ogni nuova scoperta apre nuove prospettive nel tentativo di comprendere e manipolare questa intricata interazione per il bene della salute umana.
Fonti
Nature, Istituto Nazionale di Allergie e Malattie Infettive degli Stati Uniti, Columbia University, Harvard Medical School.