stress da lavoro

Secondo l’ottavo rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, la stragrande maggioranza dei dipendenti italiani – l’83,4% – ritiene fondamentale che il proprio impiego contribuisca concretamente alla salute e al benessere, non solo fisico ma anche mentale ed emotivo. Questa esigenza attraversa tutte le categorie professionali: dirigenti, impiegati, operai. Ma anche le fasce d’età sono coinvolte in modo trasversale: i più giovani, i lavoratori adulti e persino i senior, dai 55 anni in su, esprimono un desiderio comune di trovare nel lavoro un alleato per la propria serenità, non una fonte costante di pressione e disagio.

Giovani e burn-out: un disagio crescente

Eppure, i dati raccontano un’altra realtà. Un numero crescente di persone fatica a mantenere un equilibrio tra le richieste del lavoro e la propria salute mentale. Ben il 31,8% dei lavoratori dipendenti italiani ha provato forme di esaurimento emotivo, distacco dal proprio ruolo professionale, sensazione di impotenza o demotivazione. In una parola: burn-out.

Questo disagio, che una volta si associava principalmente a chi ricopriva ruoli ad alta responsabilità, oggi coinvolge soprattutto i più giovani. Nella fascia tra i 18 e i 34 anni, quasi un lavoratore su due – il 47,7% – dichiara di aver vissuto esperienze simili. Tra gli adulti la percentuale si attesta al 28,2%, mentre tra i lavoratori più anziani si registra comunque un 23% di casi.

Il dato è allarmante non solo per la sua portata, ma anche perché riguarda proprio quella generazione che si affaccia al mondo del lavoro con grandi aspettative e spesso con un carico emotivo ancora fragile.

La precarietà, le aspettative elevate, l’incertezza sul futuro e la cultura della performance continua sono tutti fattori che concorrono a generare frustrazione, disillusione e, infine, un distacco psicologico dal lavoro.

Burn-out: equilibrio tra vita lavorativa e privata

La quotidianità lavorativa, per molti, si è trasformata in una corsa continua contro il tempo. La maggior parte dei dipendenti si sente costantemente sotto pressione, affaticata da ritmi intensi e responsabilità crescenti. Una larga parte dei lavoratori ha dichiarato di avere vissuto situazioni di stress o ansia legate al lavoro. Questo stato di tensione si accompagna spesso a una crescente difficoltà nel mantenere un equilibrio tra vita professionale e privata.

Molti lavoratori, infatti, confessano di non riuscire a staccare mentalmente neppure durante il tempo libero, portandosi dietro pensieri, preoccupazioni e incombenze anche al di fuori dell’orario lavorativo.

La sensazione di essere sopraffatti dalle responsabilità è diventata comune, così come l’impressione di non ricevere un adeguato supporto da parte dell’azienda.

Numerosi lavoratori segnalano, infatti, un ambiente lavorativo percepito come poco sano, competitivo, a tratti tossico, dove la collaborazione lascia il posto al controllo e dove lo spazio per il dialogo e l’ascolto sembra mancare.

La mancanza di fiducia e il senso di solitudine che ne derivano aumentano ulteriormente la vulnerabilità individuale. Non stupisce, quindi, che oltre un terzo dei lavoratori abbia scelto di rivolgersi a uno psicologo o counselor, sentendo il bisogno di un supporto esterno per gestire il proprio disagio emotivo legato al lavoro.

Sindrome da corridoio: la contaminazione tra le due sfere

Un fenomeno sempre più diffuso, e forse ancora sottovalutato, è quello che gli esperti chiamano “sindrome da corridoio”. Si tratta della continua contaminazione tra la sfera lavorativa e quella privata, un’osmosi che riduce progressivamente la qualità della vita e il benessere soggettivo. Secondo il rapporto Censis-Eudaimon, circa tre milioni di dipendenti italiani vivono questa condizione, in cui le ansie e le difficoltà del lavoro si trascinano nella vita familiare, e viceversa.

Una quota significativa di lavoratori porta sul posto di lavoro le tensioni familiari e personali, trovandosi a lavorare con difficoltà di concentrazione, stanchezza emotiva e senso di inadeguatezza.

Al contrario, ancora più numerosi sono coloro che si portano il lavoro a casa, con effetti negativi sulle relazioni con partner, figli, amici. Questo fenomeno è particolarmente accentuato tra i giovani. Il 41% di loro confessa di non riuscire a “staccare” una volta usciti dall’ufficio o disconnessi dal PC, portando a casa stress, rabbia e insoddisfazione. Il rischio, nel lungo termine, è quello di un esaurimento totale delle energie, nonché di un impoverimento della qualità affettiva e relazionale della propria vita.

Burn-out: serve una nuova cultura del lavoro

Il quadro emerso dall’indagine è chiaro: il disagio psicologico legato al lavoro è un problema strutturale, non episodico né individuale. Non può più essere ignorato o sottovalutato. È urgente che le aziende adottino una nuova visione della gestione del personale, che metta al centro la persona prima del ruolo. Questo significa promuovere ambienti di lavoro più inclusivi, supportivi e sani. Significa anche introdurre forme di welfare aziendale più concrete e accessibili. Investire nella formazione dei manager affinché sappiano riconoscere i segnali di disagio nei loro collaboratori. Offrire servizi di supporto psicologico gratuiti o convenzionati per chi ne ha bisogno.